Heart's Blood

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_Pulse_
view post Posted on 2/12/2010, 21:35




sblood



Titolo: Heart's Blood
Autore: _Pulse_
Genere: Romantico, sovrannaturale
Cap: 1 ; 2 ; 3 ; 4 ; 5 ; 6 ; 7 ; 8 ; 9 ; 10 ; 11 ; 12 ; 13 ; 14 ; 15 ; 16


Capitolo 1
Eyes


«Mi sono stancata, sai?».

«Di che cosa?».

«Che ne so, di tutto. Di questa vita…».

«Perché?».

«A volte mi chiedo che senso abbia, tutto questo».

«Ci deve essere per forza un senso?».

«Per me sì. Non voglio fare le cose campate per aria».

«La vita non è un programma, non la puoi pianificare, e a volte le cose non hanno sempre un senso».

«Come sei saggio, stanotte». Posò lo sguardo nel suo, ridente, e sorrise in quel modo dolce e tenero, come in pochi di loro sapevano fare, tanto da sembrare completamente umano. Nei suoi occhi cobalto, però, si poteva benissimo vedere la malinconia di quei giorni che ormai appartenevano ad un lontano e sfuocato passato. «Vorrei almeno trovare un senso a… perché a noi? Perché proprio me e te?».

«Vuoi continuare a porti questa domanda per molto tempo?».

«Perché no. Tanto ne ho fin troppo!».

Risero e saltarono giù dal parapetto della terrazza. Sulla città illuminata nel buio della notte.

*



«Sono sfinito!», piagnucolò Bill sprofondando sul sedile di morbida pelle nera, nell’auto che li avrebbe finalmente riportati in hotel.

Le signing sessions erano una delle cose che lo stancavano di più al mondo, nonostante sembrasse semplice. La sua povera mano implorava pietà.

«Questa sera c’è pure quella festa là… Non mi ricordo nemmeno più di chi!». Se avessero continuato così, avrebbe sicuramente avuto una crisi di nervi.

«È organizzata dalla Disquared», gli ricordò Gustav in modo pacato.

«Io non vedo l’ora!», esultò Tom battendo le mani sulle gambe. «Ci saranno un sacco di modelle e… ah, non ci posso pensare. Sarà il Paradiso», sospirò con gli occhi brillanti, accasciandosi sul sedile accanto a quello di suo fratello.

«Invece no, sarà la solita serata noiosa a far niente», sbuffò il cantante, incrociando le braccia al petto.

«Per forza, tu non sai divertirti!», lo rimbeccò il fratello ed iniziarono così a litigare.

Georg e Gustav non avevano nemmeno considerato l’idea di provare a farli smettere, sapevano che avrebbero rischiato la sanità mentale, così pensarono ai fatti loro con le grida dei gemelli in sottofondo, un sottofondo quasi abituale nel loro gruppo, fino a quando l’auto non si fermò di fronte all’entrata dell’hotel, assediata da un piccolo gruppo di fan che però gridavano come delle pazze. Bill e Tom si ammutolirono all’istante e sospirarono all’unisono, concordando tacitamente una tregua.

Scesero tutti e quattro dall’auto e vennero subito sommersi dai flash delle macchine fotografiche, oltre che assordati dalle grida che esplosero in un boato quando il piede di Tom toccò il suolo. Sorrisero e firmarono qualche autografo, poi entrarono nella hall dell’hotel e ad attenderli vi trovarono Dunja e Benjamin, i quali sorrisero in un modo che li fece avanzare sconfortati. Anche il giorno seguente sarebbe stato pieno d’impegni, tanto da non riuscire a farli respirare.

*



«Quando ti ho detto che stava a te la scelta, questa notte, non intendevo che potevi scegliere una tortura per la sottoscritta».

«Tecnicamente parlando, non possiamo essere sottoposti a torture vere e proprie», sussurrò in un modo impercettibile alle orecchie umane, tanto che lo sentì solo lei.
Mostrò il pass a uno dei due grandi bodyguard piazzati all’entrata del locale in cui era stata organizzata la festa, sorridendo amabilmente, e, avuto il permesso d’entrare, li sorpassò trascinandosi dietro la compagna, tutt’altro che entusiasta.

«Tecnicamente parlando, sai che queste cose per me sono una tortura mentale», gli schioccò un’occhiataccia; lui sghignazzò.

«Dean e Dan sono due vecchi amici», sollevò le spalle, senza perdere quel sorriso birichino. «Ho solo approfittato del fatto che tu stasera eri accomodante».

«Se avessi saputo prima qual era il tuo diabolico piano mi sarei opposta, altro che accomodante!», sbuffò e si portò le braccia al petto, come una bambina. «Quelli sono amici tuoi, non miei. Tu hai fatto il modello per loro, una volta, non io. Perché mi hai portato? A questo punto avrei preferito starmene chiusa in hotel!».

Rise e le avvolse un braccio intorno alle spalle candide, lasciate scoperte quasi del tutto dalle spalline fini del vestito verde acqua che indossava, che, oltretutto, metteva in bella mostra il decolté con una spaccatura che quasi le arrivava all’ombelico.
«Non dire scemenze», le posò un bacio sulla tempia. «Vuoi sapere perché ti ho portato con me? Perché non mi sarei divertito, se tu non ci fossi stata. Ormai non so vivere, senza te».

Si guardarono negli occhi e si sorrisero, poi si immersero fra la folla scatenata in pista per raggiungere l’altro lato del locale, adibito alle salette private, quelle per le celebrità.

«E poi non ho mai capito perché li odi così tanto», rimuginò lui, guardando il soffitto sovrappensiero.

«Hanno una vocina così irritante…», gli rispose e rabbrividì, quando proprio quelle due vocine irritanti filtrarono i suoi timpani facendole chiudere gli occhi.

«Adam! E ci sei anche tu, Alisha! Non siete cambiati per niente!».

«Che piacere rivedervi!», rispose lei, fingendo di essere contenta ed aprendo le braccia.

«Il piacere è tutto nostro!», gridò un ragazzo la cui voce non aveva mai sentito. Si voltò lentamente verso di lui e lo guardò attentamente.

«Che sorpresa… i Tokio Hotel», le sussurrò Adam all’orecchio, dandole una gomitata fra le costole.

«Oh», inclinò la testa di lato, vagamente sorpresa ed incuriosita.
Li osservò uno per uno: il batterista con gli occhiali, seduto in un angolo del divanetto, le braccia conserte e lo sguardo puntato su di lei; il bassista dai capelli lunghi e piastrati, gli occhi che scorrevano su e giù su di lei; il ragazzo che aveva parlato poco prima, il chitarrista se non ricordava male, che le stava facendo una radiografia completa leccandosi il piercing sul labbro inferiore; e infine il cantante dai capelli neri come la pece, in una cresta medio-alta sulla testa. I suoi occhi, però, i suoi grandi occhi nocciola, erano fissi nei suoi.
Lui fu quello che la colpì di più, perché oltre ad essere ovviamente un bel ragazzo, la guardava negli occhi ed erano in pochi quelli che, vedendola, si concentravano sul suo viso.

Dan si schiarì la voce e interruppe l’incantesimo che aveva intrecciato i loro sguardi. «Adam, Alisha, penso che voi conosciate i Tokio Hotel, no? Vi presento Bill, Tom, Georg e Gustav. Ragazzi, loro sono Adam e Alisha, due nostri amici di vecchia data».

«Piacere di conoscervi», disse in tono garbato Adam, sorridendo come solo lui sapeva fare: sarebbe stato in grado di stendere tutti, senza distinzione di sesso, con quel sorriso.

«Vi fermate a bere qualcosa con noi, magari poi a fare quattro salti in pista e poi magari…», iniziò Tom con uno sguardo malizioso. Parlava al plurale, ma pensava al singolare, in quanto il suo unico pensiero ora era quella dea dalla pelle diafana, gli occhi blu, i capelli corti e biondi e ogni curva al posto giusto – la perfezione fatta a persona, a donna – di fronte ai suoi occhi.

«Tom», ridacchiò con un sorriso di compassione Dean, posandogli una mano sulla spalla come se fosse suo figlio e gli avesse appena fatto fare una figuraccia. «Loro sono molto impegnati, sono passati solo per un saluto…». Si chinò al suo orecchio con nonchalance, ma sia Adam che Alisha sentirono ciò che gli sussurrò, facendo finta di niente: «Lei è fidanzata!».

Il ragazzo scrollò le spalle e sorrise sghembo. «Io chiedevo soltanto!», guardò Adam, che gli sorrise con la solita gentilezza. Una gentilezza d’altra epoca, che un po’ affascinava, un po’ faceva mettere sulla difensiva.

«Credo proprio che invece accetteremo l’invito, vero tesoro? Tanto non abbiamo niente da fare questa sera». La guardò e le sorrise; lei ricambiò tanto dolcemente da brillare più di tutte le luci soffuse che illuminavano la pista da ballo.

«Sì, perché no?».

Tom si accese di vitalità e si alzò in piedi, aprendo le braccia: «Allora scateniamoci!».

Adam e Alisha si avviarono verso la pista da ballo, gremita di gente, ed iniziarono a muoversi in sincronia – una sincronia perfetta – a ritmo di musica.

«Sono fatti l’uno per l’altra, quei due», soffiò Dan, incantato, e il gemello aggiunse: «Le persone più affascinanti che abbia mai visto nella mia carriera di stilista».

«Lei è una figa pazzesca!», gridò Tom estasiato e Bill, lo sguardo che silenziosamente non si era mai distolto da Alisha, parve di vedere un sorriso divertito sulle sue labbra piene e bellissime, come se lo avesse sentito.

La ragazza si voltò verso di lui e gli tolse il respiro con un sorriso, seppure fosse appena accennato: aveva davvero qualcosa di divino, di angelico, tanto che la testa iniziò a girarli impercettibilmente, come se fosse stato stordito da quell’assurda armonia.

«Io mi butto, non resisto!», avvertì un Tom fremente, prima di lanciarsi in mezzo alla folla in direzione dei due. Nessuno riuscì a fermarlo.

Bill rimase a bocca aperta, sentendosi in qualche modo… ferito.



Adam sorrise sghembo e avvicinò la bocca all’orecchio della bionda, muovendosi con lei: «Sta arrivando il chitarrista, sarai contenta…».

«Mi piace essere desiderata», disse con innocenza, gli occhi chiusi.

«Ma tu sei solo mia», sussurrò Adam avvolgendole la vita con le braccia. «Per l’eternità».

A quella parola il viso di Alisha si adombrò, i suoi occhi si spensero, ma fu solo un attimo perché Tom ormai era al loro cospetto e con lo sguardo chiedeva ad Adam di lasciarlo ballare con lei. Il ragazzo sorrise e gli lasciò il posto molto cortesemente, tanto che il chitarrista ne rimase sorpreso per un istante, ma poi ne approfittò vistosamente ballandole fin troppo vicino per essersi conosciuti solo cinque minuti prima.
Alisha rise ai palesi tentativi di conquista di Tom e si portò i capelli all’indietro. Il ragazzo la guardò stranito.

«Perché ridi?», le chiese all’orecchio, per non dover urlare sopra la musica.

Quando la ragazza sentì il suo profumo, il profumo del suo collo, così vicino, socchiuse gli occhi ed esalò un sospiro. Si sporse così tanto su di lui da sfiorargli il petto con il proprio, provocandogli più di un brivido, e gli rispose: «Stavo solo pensando. Posso sapere quanti anni hai?».

«Ventuno». Deglutì per controllarsi: era troppo vicina, troppo sexy e aveva un profumo troppo irresistibile; la voleva, la voleva più di qualsiasi altra cosa. «Cioè, devo farne ventidue… Perché me lo chiedi?».

«Ah!», trattenne un’altra risata e si scostò per guardarlo negli occhi. «Fisicamente te ne avrei dati di più… mentalmente di meno».

Era così ammaliato dalla sua figura che ci mise qualche secondo per capire l’offesa gratuita appena rivoltagli. Avrebbe voluto ribattere, ma cosa poteva dire ad una così? L’unica cosa che gli venne in mente fu: «Perché, tu quanti ne hai?».

«Non si chiede l’età alle signore», gli disse e gli pizzicò il naso come si fa ai bambini, prima di lasciarlo lì con un palmo di naso e tornare da Adam e gli altri, con passo sinuoso e sicuro.



Bill sgranò gli occhi quando vide suo fratello ballare con Alisha, con sicurezza e un po’ di spavalderia, mentre lui era lì a bollire d’invidia. Forse era vero quando diceva che lui non sapeva divertirsi.
In preda allo sconforto, si girò verso Adam, seduto fra Dean e Dan, con i quali chiacchierava amabilmente. Nonostante volesse fargli una sfuriata, si trovò ad ammutolire di fronte al suo modo di parlare, alla sua gestualità… era affascinante quasi quanto la sua compagna. Aveva la carnagione pallida, i capelli neri, gli occhi verdi brillanti e un sorriso da mozzare il fiato; per non parlare della sua risata: una melodia.
Perciò la sua sfuriata divenne all’incirca una domanda incerta e balbettante: «Ma perché l’hai lasciato fare?».

Adam si voltò verso di lui e trattenne una risata, poi rispose posizionando lo sguardo sui due che ballavano vicini sussurrandosi cose all’orecchio: «Voglio assistere al momento in cui lei lo respingerà brutalmente. Può sembrare sadico, ma è più forte di me, è troppo divertente. E immagino che con Tom sarà ancora più spassoso, in quanto ho il presentimento che non sia uno che riceve rifiuti abitualmente».

«No, infatti», disse Georg e il ragazzo annuì, poi scoppiò a ridere quando vide Alisha lasciare lì Tom, sbigottito, e venirgli incontro.

«Ci hai messo poco», le disse divertito, accogliendola sulle proprie gambe. Alisha gli avvolse il collo con un braccio e ricambiò il sorriso, finta modesta.

«Sì, è stato fin troppo facile».

E ancora una volta gli sguardi di Bill e Alisha si incatenarono. Rimasero a fissarsi tanto a lungo da perdere qualsiasi espressione dal viso, immersi in specchi dentro i quali non riuscivano a vedere altro che se stessi, e dovettero costringersi a guardare da un’altra parte.



Uscirono passando dal retro, dove c’era già una macchina dai finestrini scuri ad aspettarli.

«È stata davvero una bella serata», disse Dan in nome anche del gemello. «Avete portato una ventata di freschezza, come sempre».

«Non abbiamo fatto nulla di particolare», scrollò le spalle Adam, stringendosi al petto Alisha, che sorrise e gli stampò un bacio sulle labbra.

Quel gesto così affettuoso, nonostante la sua semplicità, fece gelare il sangue nelle vene a Bill, che strinse le mani nei pugni e si diede del cretino. Come poteva essersi interessato di una ragazza così, che tra l’altro era felicemente fidanzata? E in una sera soltanto! Forse doveva prendere sul serio suo fratello, quando gli diceva che era troppo tempo che non si scopava una ragazza!

«Adesso state qui a New York?», chiese uno dei gemelli della moda ai due, distraendolo dai suoi pensieri.

Si guardarono negli occhi e Adam rispose: «Sì, siamo al Royalton».

«Oh, ancora la mania di stare negli hotel, eh?», sogghignò Dean.

«Sì», rispose quella volta Alisha, sfarfallando le ciglia. «Non ce la sentiamo di prendere casa, noi siamo spiriti liberi».

«Anche noi pernottiamo in quell’albergo», bofonchiò Tom, le braccia strette al petto e un broncio da bambino stampato sul viso a causa del comportamento di Alisha. Gli occhi di Bill brillavano.

«Tom, sei adorabile», disse la ragazza e gli punzecchiò ancora il naso con la punta del dito, poi rise e prese la mano di Adam.

«Allora ci vediamo!», salutò lui alzando la mano libera, avviandosi con la compagna.

«Voi non prendete una macchina?», chiese Gustav, la fronte corrugata. «L’hotel è ad un bel pezzo da qui!».

«Ci piace camminare!», rispose Alisha senza nemmeno voltarsi. Alzò la mano in segno di saluto e Adam la seguì, portandosi in fretta al suo fianco.

Quando furono abbastanza lontani dal gruppo, le chiese: «Allora, è stato così terribile?».

Si portò un dito sul mento, meditabonda: «Uhm… no», sorrise. «Devo dire che i gemelli mi sono piaciuti parecchio».

«Quali gemelli?».

«Oh, già», si colpì la fronte. «Ora ce ne sono quattro! I Kaulitz, ovviamente».

«Sì, sono simpatici. Anche Georg e Gustav».

«Sei contento che ti ho fatto felice?».

«Sì», soffiò e la baciò sulle labbra con più passione, poi la guardò negli occhi. «Che ne dici, andiamo a mangiare?».

Alisha annuì con la testa, con un’espressione fra il disgusto e la rassegnazione.

*



Notte, fuori dalla finestra. Un’immagine fissa, negli occhi e nella mente. I minuti che, inesorabili, scorrevano sulla sveglia sul comodino. Gli occhi spalancati di Bill, rivolti al soffitto.
«Cazzo, cazzo, cazzo», farfugliò portandosi il cuscino sul volto. «Devo smettere di pensare a lei! Devo smetterla!».

Ma ciò che non sapeva, è che non ci sarebbe proprio riuscito a smetterla. Né quella notte, né mai.


Capitolo 2
Early morning


Il pennello accarezzava delicatamente la tela, spargendo tonalità di colori tenui in maniera uniforme. Le immagini sembravano prendere vita e Adam sorrideva, dipingendo ogni dettaglio a colpo sicuro, senza nemmeno dover guardare il soggetto del proprio quadro. Tutto ciò di cui aveva bisogno era la memoria, grazie alla quale ricordava in ogni minimo dettaglio la figura che gli era entrata nella testa, indelebile, già dalla prima volta in cui l’aveva vista.

Alisha era sdraiata sul letto, sfiorata dalle lenzuola candide quanto la sua pelle nuda sotto di esse. Il sole che filtrava dalla finestra le illuminava la schiena marmorea e i capelli corti brillavano d’oro.
Sembrava proprio addormentata, immobile in quel letto disfatto, come piaceva fare a lei: nonostante non avesse bisogno di dormire, fingeva di farlo perché la faceva sentire umana.

Adam non capiva perché fosse così attaccata a ciò che non era più da anni: ora poteva avere e aveva tutto, eterna giovinezza compresa, ma lei rimaneva sempre e comunque legata al suo passato, quel passato che dopotutto non le aveva dato nulla di particolare, secondo il suo punto di vista.
Quando l’aveva incontrata, in fin di vita, sola e spaventata di sé ad appena un anno della sua nuova vita, si era subito innamorato di lei e da quel giorno non l’aveva mai lasciata, fino a quando non erano diventati una coppia vera e propria. Avevano trovato conforto l’uno nell’altro, la parte mancante del proprio essere.




Alisha sentiva nell’aria il profumo degli acquarelli di Adam, il lento movimento delle setole che scivolavano sulla tela e il gocciolare del pennello nell’acqua ogni qualvolta il compagno lo immergeva nella ciotolina. Grazie ai suoi sensi sviluppati sentiva anche il rumore delle automobili in strada ed i passi della gente che spedita camminava sui marciapiedi.
Quando aprì gli occhi vide del pulviscolo danzare nel raggio di sole che entrava dalle grandi finestre e rimbalzava sul pavimento lucido.
Si mosse lentamente e sentì le proprie ossa scricchiolare indolenzite quando si girò sul fianco: non era abituata a stare immobile per così tanto tempo, ma le piaceva pensare che avesse davvero dormito, invece di aspettare che il sole sorgesse per regalarle un nuovo giorno da immortale.

«Buongiorno, amore mio», sussurrò Adam al suo orecchio dopo essersi mosso con estrema rapidità dal suo quadro al letto.

«Buongiorno». Un profondo sconforto la travolse quando la propria voce le arrivò alle orecchie melodiosa e limpida, spazzando via ogni fantasia.

«Che cosa vuoi fare oggi?», le chiese il compagno, baciandole la mandibola fino a raggiungere il collo chiaro.

«Non ne ho idea», sospirò.

Lo spostò da sé e balzò giù dal letto, andò in bagno e si guardò allo specchio: il viso pallido e bellissimo, gli occhi profondi e lucenti. Possibile che ancora non si riconoscesse, in tutta quella perfezione?
Si chiuse nel box-doccia ed assaporò la piacevole sensazione dell’acqua calda sulla pelle, sugli occhi chiusi e sulle labbra, che sfiorò con le dita.
Quando uscì si avvolse con un asciugamano rosa pallido e si pettinò i capelli dorati, poi raggiunse Adam, in terrazza, che guardava il cielo azzurro e la città di grattacieli splendenti che gli si presentava di fronte.

«Tutto bene?», gli chiese e lui si voltò, le strinse le braccia intorno alla vita e le sorrise.

«Sai quanto ti amo?».

«Sì, lo so», rispose lei automaticamente, giocherellando con un bottone della camicia bianca che indossava.
Si lasciò baciare delicatamente sulle labbra e poi rientrò nella suite, indossò una vecchia tuta blu, comodissima, e lo ritrovò ancora con lo sguardo fisso su New York.
«Io scendo di sotto a fare quattro passi».

«Va bene», le rispose.

Lei annuì e si allontanò, fino a chiudersi la porta alle spalle con un sospiro. Prese l’ascensore, da sola, e si appoggiò al metallo freddo con la schiena, il viso rivolto verso l’alto.
Aveva una maledetta voglia di piangere e ciò che più la infastidiva era che non le era possibile, come tante altre cose che appartenevano ad un’altra vita.
Avrebbe pagato oro per tornare a quell’epoca, per tornare umana; anche per morire, se le prime due non erano possibili. Era stufa, stufa marcia di quel proseguirsi di giorni senza mai fine. Accanto aveva Adam, il ragazzo più dolce e premuroso del mondo, l’unico a cui si era affidata, però… Stava con lui da più di una vita, ma… ma tutto ciò non le bastava più. O, meglio, voleva di meno del troppo che aveva.

Le porte dell’ascensore si aprirono ed abbassò lo sguardo sulla figura alta e slanciata che si era fermata di colpo, con il respiro mozzato alla sua vista.
«Bill», lo riconobbe e gli sorrise senza nemmeno rendersene conto. Lui non parlò, sembrava una statua di marmo con il cuore che stava per scoppiare.
«Ho detto bene?», gli chiese allora, per sincerarsi di non averlo scambiato con qualcun altro, anche se era certa di non aver sbagliato.
Aveva passato più o meno tutta la notte a rimuginare su di lui, sui suoi occhi, sulle sensazioni che aveva provato dentro quando i loro sguardi si erano incontrati. Un’intera notte e non era riuscita a capirci nulla.

Lui annuì, ripresosi, e con un solo passo entrò nell’ascensore, accanto alla bionda.



Doveva essere un sogno, un magnifico sogno ritrovarsela lì. Sapeva che erano nello stesso hotel, ma mai avrebbe immaginato che si sarebbero ritrovati. Ed ora eccola lì, accanto a lui, perfetta, nonostante l’orario e la tuta che indossava, e sorridente. Una visione.
L’ascensore riprese a scendere ed il silenzio che si creò fu parecchio imbarazzante, almeno per lui. Alisha aveva lo sguardo rivolto sul suo viso e Bill lo percepiva, tanto che si sentì andare a fuoco.
Lei sorrise. «Sei arrossito, sai?». Il ragazzo si volle schiaffeggiare da solo, ma si impose un po’ di contegno ed accennò una risata imbarazzata.
«Sei ancora più bello quando arrossisci», continuò la bionda, del tutto ignara di quanto lo stesse destabilizzando.

«Grazie, anche… anche tu», balbettò con la salivazione a zero.

«Magari», soffiò, gli occhi velati da un sottile strato che identificò come malinconia.

«Cosa? Guarda che tu sei veramente bellissima», le ripeté, quasi scandalizzato.

Lei ridacchiò un «Grazie».

Ormai il ghiaccio era rotto, Bill poteva provare ad iniziare una conversazione, anche se la sola idea lo metteva terribilmente in ansia.
«Ehm… come mai così mattiniera?», riuscì a chiederle.

Lei scrollò le spalle. «Mi sono svegliata presto stamattina. E tu? Non sembra che tu abbia dormito molto».

Quella volta fu Bill a ridacchiare, pensando che la causa delle sue evidenti occhiaie era proprio di fianco a lui. «In effetti no».

«Per quale motivo?».

Perché era così interessata se avesse dormito o no? Infondo… non era nulla di speciale, dormire!
«Non riuscivo a prendere sonno, continuavo a pensare».

«Oh, capisco», abbassò lo sguardo e in quell’istante le porte dell’ascensore si aprirono con un tintinnio ed uscirono, stando fianco a fianco.

«Ahm… so che ti sembrerò scortese, ma…», Bill si portò una mano sulla nuca, indeciso se continuare o meno. Alisha però lo guardava, incuriosita, e non poteva tirarsi indietro. «Facciamo colazione insieme? Sempre se… se ne hai voglia e se…» Il sorriso che gli rivolse gli fece ingoiare tutte le altre parole.

«Mi farebbe molto piacere, Bill».



Quando era sceso dal letto non si era nemmeno perso a fantasticare su un loro possibile incontro – nonostante lo desiderasse più di qualsiasi altra cosa – talmente lo credeva impossibile. Mai si sarebbe aspettato, oltre che d’incontrarla, di chiacchierarci amabilmente.

«Oh, quindi siete in America per il tour… capisco. E quanto starete qui a New York?».

«Ancora qualche giorno: abbiamo un concerto stasera e poi delle apparizioni televisive e altre cose che non mi ricordo», sbuffò annoiato e si portò la tazza di caffè alle labbra, nell’altra mano una brioches calda.
Lei non aveva preso nulla, dicendo che aveva già fatto colazione in camera.

«Non ne sembri entusiasta». Alisha ridacchiò della sua espressione buffa.
Aveva una risata così bella che era impossibile non restarne affascinati. Ma, d’altronde, c’era qualcosa di non affascinante in lei? La sua figura poteva benissimo essere utilizzata come sinonimo di fascino.

«No, per niente», sorrise mesto. «Quando si tratta di cantare per i fan non c’è problema, vivrei solo di questo, ma di parlare di fronte ai media… non ne ho mai voglia».

«Ti danno fastidio le domande private, scommetto», alzò il sopracciglio e portò le mani, fini e delicate, sotto il mento.

«Hai indovinato».

«Va bene, allora cercherò di reprimere ogni mia curiosità», sospirò delusa, un bagliore strano negli occhi. Bill fu quasi costretto a chiederle che cosa volesse sapere, ammaliato. «Mi chiedevo se tu fossi fidanzato, ecco».

«Ah. No, non sono fidanzato».

«Questa cosa mi sorprende molto», sgranò gli occhi, la mano sulla bocca socchiusa. Fingeva. Non l’avrebbe mai ammesso, ma aveva sperato che rispondesse così. «Sei un ragazzo così bello, come fai a non avere la ragazza?».

Lui sollevò le spalle. «È difficile, ora come ora. E non ho ancora incontrato il vero amore».

Alisha sorrise dolce e posò la mano fredda sulla sua, scuotendogliela un poco. «Lo troverai, ne sono certa», gli fece l’occhiolino e Bill sorrise, poco convinto.

«Ora tocca a me fare la domanda privata», esclamò lui e la bionda si posizionò meglio sulla sedia, divertita da quel gioco. «Quando vi siete conosciuti tu ed Adam?».

La ragazza si irrigidì e il suo viso assunse un’aria seria, quasi malinconica. I suoi pensieri volarono a quell’incontro e dovette chiudere gli occhi per scacciarli via dalla mente.
«Tanto tempo fa. Io ero solo… solo una bambina», rispose atona, alzandosi in piedi.


Nello stesso momento Bill scattò in piedi come se sulla sedia fossero spuntate magicamente delle puntine e le prese le mani, avvicinandosi fin troppo al suo viso. Sentiva il suo respiro freddo e profumato intrecciarsi al suo ed era strano, diverso dagli altri…
«Mi dispiace, io non volevo…», incominciò dispiaciuto, ma non riuscì a finire.

«Non hai nessuna colpa, Bill».

Come gli piaceva il suo nome pronunciato da quella voce…

«Sono… sono io, è colpa mia. Ora, scusami, devo andare». Liberò le proprie mani dalla sua stretta e fece qualche passo verso le grandi porte della sala da pranzo.

Si voltò e gli rivolse un sorriso appena accennato. «È stato bello chiacchierare con te, grazie».

«Di niente», riuscì solo a balbettare prima che lei si allontanasse e sparisse alla sua vista.

*



«Fammi capire bene», disse Tom con le dita sulle tempie: sembrava davvero molto concentrato. O forse aveva solo sonno, visto che lo aveva buttato giù dal letto ad un orario improponibile per torturarlo con le sue paranoie. «Tu hai incontrato quella smorfiosa in ascensore e –».

«Non è una smorfiosa», borbottò Bill.

Il gemello lo fulminò con un’occhiataccia: gli bruciava ancora il modo con cui l’aveva rifiutato la sera prima, alla festa.
«Le hai chiesto di fare colazione con te e siete finiti a chiacchierare amabilmente, fino a quando non le hai fatto una domanda su Adam e lei se n’è andata molto teatralmente. Ho afferrato?».

«Sì, e questo mi stupisce», ridacchiò all’espressione scocciata di Tom.

«Insomma, vuoi o no che ti aiuti a conquistarla? Perché è questo che mi stai chiedendo, no?», sollevò il sopracciglio, malizioso, mentre si portava le braccia al petto ed osservava Bill arrossire e boccheggiare come un pesce fuor d’acqua.

«Io… io non ho detto che voglio conquistarla!», annaspò.

Tom si lasciò andare ad una fragorosa risata. «Non l’hai detto, ma l’hai pensato. Non puoi nascondere niente a me».

«Okay», sospirò afflitto e si portò le mani sulla testa. «Sono disperato, Tomi. Sono completamente andato nel pallone già dalla prima volta in cui l’ho vista e non ti nascondo che quando hai ballato con lei volevo ucciderti».

«Sì, l’avevo come percepito», mormorò, senza interromperlo.

«Mi sento così… stupido, quando sto con lei! Sembra così grande, così matura… e troppo, troppo bella per me».

«Oh mio Dio, Bill, dove hai lasciato l’autostima oggi?!».

«Non si tratta di autostima, è la verità! Non potrò mai competere con Adam, ma lo hai guardato bene? Tutti ci farebbero su un pensierino!».

Tom quasi non si strozzò con il succo d’arancia che stava sorseggiando. «Io non ci ho fatto alcun pensierino!», ribatté, rosso.

«Comunque… no, non posso essermi così perdutamente innamorato di una ragazza che appena conosco e che sembra così un mistero… E così in fretta, poi! Mi è bastata, le è bastata una sera per ridurmi in questo stato!».

«Non è quello che tu chiameresti amore a prima vista?», gli domandò.

«Sì, ma… c’è anche che lei è fidanzata felicemente con Adam, quindi non io posso –».

«Che cavolo te ne frega di quello là?! Se ti piace sul serio devi lottare per averla! E poi hai visto come si è fatto da parte quando gli ho chiesto se potevo ballare con lei?». Un sorriso orgoglioso gli illuminò il viso e Bill scosse la testa, in pena per lui: se solo avesse saputo perché Adam si era fatto subito da parte! Lui era certo che Alisha lo avrebbe respinto, al cento e uno per cento. Che speranza aveva, se persino suo fratello Tom era stato rifiutato?

Beh, adesso… Non sono inferiore a Tom per quanto riguarda il fascino! Anzi… Sorrise dei suoi stessi pensieri e il gemello lo guardò con un filo di preoccupazione.

«A che cosa stai pensando?».

«Niente, Tomi», si riprese, ma in un attimo tutte le sue fantasie cessarono di esistere: Adam, elegante e sicuro di sé, era appena uscito dall’ascensore e li aveva visti.
Rimase un attimo a guardarlo, completamente rapito, chiedendosi come facessero ad essere tutt’e due così perfetti e svegli già a quell’ora di mattina.
«Aiuto», gracchiò il cantante, cercando nel fratello un segno di conforto, che rispose allo sguardo con un’occhiata da: “Ci penso io, tranquillo”.

«Buongiorno», salutò cortesemente Adam quando fu accanto al loro tavolo.

«Ciao Adam, amico, come te la passi?». Tom rispose solare al saluto e gli tirò un pugno amichevole sulla spalla, al quale Adam non diede la minima importanza: sembrava teso, tormentato. Da che cosa, lo capirono quando formulò una semplice e chiara domanda:

«Per caso avete visto Alisha?».

Tom guardò Bill, tanto che anche Adam si voltò verso di lui, incatenandolo con lo sguardo.
Menomale che dovevi aiutarmi!, pensò incendiando con gli occhi il gemello. Poi rivolse la sua attenzione ad Adam: «Ehm… sì, l’ho incontrata prima e si è fermata a farmi compagnia a colazione, poi… se n’è andata».

Adam socchiuse la bocca per la sorpresa, ma in un attimo la sua espressione tornò neutrale e cortese, anche se forzata. «Non sai dov’è andata?».

«No, mi dispiace».

«Okay, non importa. Grazie dell’aiuto». Non sforzò nemmeno un sorriso, girò i tacchi ed uscì dalla sala da pranzo a passo svelto.

«Bill», lo richiamò Tom, stupefatto.

«Uhm?», mugugnò senza riuscire a togliere lo sguardo dalle porte dalle quali era appena uscito il ragazzo.

«Ti rendi conto di quello che sei riuscito a fare?».

«No, cosa?».

«L’hai ingelosito!».

Si guardarono a bocca aperta per qualche secondo, poi Bill si lasciò andare ad una manifestazione di vittoria.
Che Adam non fosse così convinto che Alisha lo respingesse come aveva fatto con Tom? Si sentì infinitamente importante ed affascinante, il cuore gonfio di gioia, tanto da voler salire sul tavolo e ballare.
Ma, per ovvie ragioni, non lo fece.


Edited by _Pulse_ - 17/11/2012, 15:53
 
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_Pulse_
view post Posted on 3/12/2010, 15:09




Capitolo 3
Little more than a day


{Nel silenzio di una stanza ascolterò
quel ticchettio di un orologio stanco ormai
di scandire solo i giorni, le ore, gli attimi
che inesorabilmente ci dividono}


Alisha sollevò il viso verso il sole che tramontava dietro il mare e si immerse di nuovo nelle profondità dell’oceano, a pensare.
(Quello era uno dei pochi vantaggi che amava: poter stare immersa nell’acqua quanto voleva, senza aver bisogno di respirare).
Sospesa in quel silenzio, riuscì comunque a sentire le bolle d’ossigeno raggiungere la superficie ed i veloci movimenti dei pesci che avevano percepito l’alone di predatrice che si portava addosso e perciò si allontanavano in preda al terrore.

Probabilmente Adam la stava cercando. Chissà, forse aveva anche incontrato Bill nella sala da pranzo e gli aveva chiesto che fine avesse fatto. Chissà. Bill. Chissà. Bill…

Era un personaggio, quel ragazzo. Già quando lo aveva visto alla festa aveva notato un qualcosa di diverso in lui, nei suoi occhi. E non si era sbagliata, perché quella mattina, quando le aveva chiesto di fare colazione con lui non aveva potuto dire di no e si era scoperta felice, mentre ci parlava. Forse aveva pure sperato che glielo chiedesse, nella parte più profonda e nascosta del suo cuore che non batteva più dentro di lei.
Le piaceva ascoltare la sua voce, vedere le sue guance prendere colore quando s’imbarazzava, contare il numero delle volte in cui le sue palpebre si chiudevano involontariamente in un minuto. Ma più di tutto, adorava sentire il suo cuore battere nel petto: lento, poi veloce, ancora più veloce, tanto che sembrava in una corsa folle.
Era la cosa che le mancava più di tutte di lei, quella.

Uscì dall’acqua con la testa e si accorse che il sole era quasi del tutto scomparso nell’acqua che ne rifletteva la luce rossastra. Forse avrebbe fatto meglio a tornare.
Nuotò senza fretta fino a riva, si scrollò come un cane e si rivestì.

Con i capelli ancora bagnati sulla testa si incamminò verso l’hotel, a mente sgombra, e quando entrò nella hall notò subito un certo fermento: tutti i componenti dei Tokio Hotel erano di fronte al bancone della reception, che parlavano con una ragazza che doveva essere qualcosa come la loro manager. Ascoltando parte del discorso, capì che si chiamava Dunja.
Il primo ad accorgersi della sua presenza fu Tom, che diede una gomitata nel fianco a Bill, e sogghignando gli sussurrò: «Guarda chi arriva».

Alisha abbassò il viso e si morse un sorriso, si infilò le mani nelle tasche e di fronte a loro si ricompose, proprio come se non avesse sentito nulla.
«Ciao ragazzi!».

«Ciao… Alisha», balbettò Bill, alzando la mano. «Che… che hai fatto ai capelli, perché sono bagnati?».

«Oh», si sistemò un ciuffo dietro l’orecchio e ridacchiò. «Sono andata a fare un tuffo».

«In mare?», chiese Tom arricciando il naso; lei annuì, stringendosi nelle spalle. «Certo che, oltre che essere cieca», si indicò, «sei piuttosto stramba».

Alisha sorrise divertita, ringraziandolo con un mezzo inchino.

«Ah!». Bill si illuminò e gli occhi della bionda si posarono su di lui. «Volevo chiederti se ti andava di venire al concerto! Anche… anche Adam può venire, ovviamente».

«Sì, mi piacerebbe molto!», rispose con un sorriso entusiasta, quando udì dei passi veloci, inconfondibili alle sue orecchie, scendere le scale, e si girò nella sua direzione ancora prima che Adam sbucasse nella hall.

«Alisha», ruggì lui guardandola truce, avanzando a passo svelto verso di lei, fino ad afferrarle il polso con violenza. «Posso sapere dove diavolo eri finita?».

«Sono andata a fare un giro», rispose nello stesso tono, liberandosi dalla sua stretta.
Lui ringhiò qualcos’altro di incomprensibile alle orecchie di Bill, che non si perdeva un battito di ciglia, e poi sbuffò forte dal naso.
La ragazza, seria, cambiò discorso: «Bill ha chiesto se vogliamo andare al loro concerto di stasera».

«Abbiamo altro da fare», rispose subito il ragazzo, senza nemmeno rivolgere uno sguardo al cantante. Guardava con occhi ardenti la compagna, rigido e furioso come non se lo sarebbero mai immaginato.

«Che io sappia, no». Alisha si portò un dito sul mento, meditabonda. «Dunque, io vado. Tu vuoi venire?».

«Alisha», ringhiò ancora, tentando di darsi un contegno.

«Adam». La sua voce invece era bassa e pacata, anche se i suoi occhi erano più ardenti di quelli del ragazzo.

Lui si ricompose e si voltò verso la band, completamente impietrita, alla quale sorrise gentilmente. «Mi dispiace, ma io non posso venire. Sarà per un’altra volta, grazie mille per l’invito».
Si voltò verso Alisha e la prese fra le braccia, la baciò con forza e passione sulla bocca e poi sospirò soddisfatto, salutandola: «Ciao, amore mio, divertiti». Dopodiché se ne andò entrando nell’ascensore.

Alisha fece una smorfia e si passò una mano sulle labbra. «Scusatelo, quando fa così lo prenderei a cazzotti». Ed era quello che avrebbe fatto di ritorno. «Insopportabile geloso».

«Uhm», mugugnò Bill, gli occhi ancora sgranati dallo stupore.
Tom gli prese le spalle e lo scrollò fino a quando non si riprese del tutto.

«Allora ragazzi, andiamo?», chiese un uomo giovane e con i capelli biondi, rientrando nella hall. «La macchina è già fuori che vi aspetta».

«Sì, arriviamo», rispose Bill e sorrise ad Alisha, indicandole la strada.

*



«Alisha, tu non mangi?», chiese Gustav alla ragazza che se ne stava seduta su una sedia, accanto a Bill.

«No, non importa. Grazie».

«Guarda che non è un problema», aggiunse Georg.

Lei scosse violentemente la testa.
«Davvero, non posso», rispose con un sorriso.

«Oddio, eccone un’altra a dieta», borbottò Tom. «Ma perché voi ragazze siete tutte così?».

«Ah boh, non me lo chiedere», scoppiò a ridere la bionda. «Ne capisco meno di te, sul serio». Ed era vero, perché avrebbe dato di tutto pur di poter addentare ancora una volta una barretta di cioccolato.

Bill, che era rimasto insolitamente silenzioso per tutta la durata della “cena” organizzata all’ultimo momento nel backstage con pizza, Coca Cola e birra, si pulì la bocca con un tovagliolo e prese Alisha per mano, trovandola gelata.

La ragazza percepì il calore di Bill e serrò la mascella, guardandolo negli occhi. «Qualcosa non va?».

«No», le sorrise. «Devo solo parlarti».

Tom, Georg e Gustav li guardarono andare via in silenzio e quando furono fuori dalla stanza il chitarrista sbuffò e si lasciò andare contro lo schienale della sedia, portandosi alla bocca la bottiglia di birra.
Ne trangugiò quasi l’intero contenuto e poi borbottò: «Questa storia non mi piace per niente, ho uno strano presentimento».

«Ti brucia solo che lei preferisca Bill a te», gli disse Georg, ma il moro dissentì con convinzione.

«No, non si tratta di questo, ve lo posso giurare. Alisha, Adam… hanno qualcosa di strano, che non mi convince. Ho una fottuta paura che Bill… che Bill sia in pericolo».

Gustav e Georg si guardarono con cipiglio perplesso e poi guardarono l’amico di fronte a loro.
«Ti sei ubriacato con una birra?».
«È solo una ragazza!».

Tom sbuffò e non insistette, aveva capito che quei due non gli avrebbero dato ascolto. Avrebbe dovuto indagare per conto suo.
Chi fa da sé, fa per tre.



Si lasciò trascinare nel corridoio senza opporsi, non avrebbe saputo nemmeno come fare, e lo guardò chiudere con un piede la porta del camerino.
Sentiva il sangue circolare nelle vene di Bill, il battito del suo cuore accelerare e dietro quella porta le parole di Tom che la fecero irrigidire sul posto: «Questa storia non mi piace per niente, ho uno strano presentimento».

Bill la guardò dritta negli occhi e sobbalzò alla visione di quel nocciola così caldo e vivo. Una strana sensazione la punse dall’interno.
«Bill, c’è qualcosa che devi dirmi?», balbettò e si sentì andare a fuoco – impossibile! – quando Bill fece scorrere le mani sulle sue braccia fino a raggiungere le spalle.

«Hai freddo?», sollevò il sopracciglio. «Sei gelata!».

«No, io… sto bene», si abbracciò e lo guardò di sottecchi, sentendosi tremendamente in imbarazzo dopo anni ed anni. «Ora, mi dici che cosa sta succedendo?».

«Ecco…», si grattò la nuca, arrossendo. Alisha venne colta all’improvviso da quella sfumatura rosea e si sciolse in un sorriso quasi adorante. «Volevo solo chiederti scusa per stamattina, credo di essere andato un po’ troppo sul personale».

«Ma no, Bill!», si affrettò a dire, muovendo le mani di fronte al petto. «Non devi affatto scusarti, non hai chiesto niente di male! Quella che ha sbagliato sono io, solamente io. Non avrei dovuto reagire così, sono stata davvero… imperdonabile».

«No, no, sono stato io a –».

«Invece no!».

La guardò sorpreso e dopo diversi minuti passati nel silenzio a scrutarsi, scoppiarono a ridere. Fino a quando Bill non deglutì il nodo che gli si era formato in gola e le accarezzò la guancia delicatamente, trovandola gelida come tutto del suo corpo.
«Sei sicura di star bene? Sei davvero molto fredda», disse preoccupato ed in un attimo di follia la strinse al petto, avvolgendole le braccia intorno alla schiena ed affondando il viso fra i suoi capelli biondi.

Alisha, che già al suo primo tocco si era immobilizzata ed aveva sgranato gli occhi, si trovò impietrita tra le sue braccia snelle, contro il suo petto caldo, il viso pericolosamente vicino al suo collo.
Il suo cuore batteva veloce nella cassa toracica: era lo scorrere del tempo che passava senza che lei lo desiderasse.
Venne investita dal suo profumo dolce e fu come una botta in testa, che la stordì a tal punto da farle chiudere gli occhi e strusciare il naso contro il suo collo invitante ed allo stesso tempo così… proibito. Quello era Bill, non voleva fargli del male, ma era così irresistibile…
La gola le stava andando in fiamme, il suo stomaco si contorceva ai crampi di sete e il colpo di grazia glielo diede Tom – involontariamente, certo – con la conclusione del suo discorso, al di là della porta, che solo lei riuscì a sentire: «No, non si tratta di questo, ve lo posso giurare. Alisha, Adam… hanno qualcosa di strano, che non mi convince. Ho una fottuta paura che Bill… che Bill sia in pericolo».

Tom aveva ragione, loro stavano sbagliando, lei stava sbagliando, stava facendo l’errore più grande della sua vita. Se non voleva fargli del male, doveva stargli il più lontano possibile, anche se al solo pensiero il suo desiderio di morire aumentava a dismisura.
Non sarebbe stato facile allontanarsi da lui, ormai il battito del suo cuore, le sue guance arrossate, erano diventati una droga per lei, per la sua eternità. Era passato così poco tempo, com’era possibile che fosse già così perdutamente…
Erano troppo diversi, troppo, e quella non era una bella storia da romanzo, non ci sarebbe stato un lieto fine se non avesse resistito ai suoi sentimenti che ora più che mai si facevano sentire, come se si fossero improvvisamente svegliati dopo lunghi anni di sonno. Perché a lei? Perché lo aveva incontrato? Non poteva essere più sbagliato di così.

Si staccò il più dolcemente possibile dall’abbraccio, da lui, e lo guardò con occhi imploranti, visto che non poteva piangere, poi scosse la testa e mormorò: «È sbagliato, Bill. Tremendamente sbagliato».

«Che cosa, che cosa è sbagliato?», chiese, alzando la voce di un’ottava, ansioso.

«Qualsiasi cosa, se ci sono di mezzo io. Mi dispiace».

Indietreggiò, senza schiodare lo sguardo dal suo, e si girò per correre via nel lungo corridoio, ma Bill non voleva che se ne andasse, avrebbe fatto qualsiasi cosa per farla rimanere, così le prese il polso e, all’ultima spiaggia, fece aderire le proprie labbra su quelle fredde di Alisha, che, colta alla sprovvista, rimase immobile con le braccia ciondolanti lungo i fianchi.

Bill non poteva crederci, lo stava facendo davvero! Le sue labbra erano davvero su quelle perfette e allo stesso tempo fredde di Alisha! La stava baciando davvero! Ed era stranissimo e paradisiaco. Il suo respiro era dolce, da far venire il mal di testa, la gioia che sentiva nel cuore troppo grande per descriverla a parole, in pensieri… Stava solo bruciando, contro quel pezzo di ghiaccio.

«Bill», ringhiò quasi il suo nome, portandogli le mani sul petto e spostandolo con forza.
Lo guardò truce, ma anche ferita, e poi scappò sul serio, sparendo in un attimo dietro l’angolo, così in fretta che Bill faticò ad accorgersene.

«Alisha!», gridò con tutto il fiato che aveva in gola, sperando che lo sentisse e tornasse indietro, gli occhi umidi ed un acuto dolore al cuore.

La porta del camerino si spalancò e Tom corse da lui, borbottando qualcosa come: «Io l’avevo detto che era in pericolo, io lo avevo detto!».
Ma Bill non riusciva ad ascoltarlo, non sentiva più niente, solo uno strano ronzio nelle orecchie e quel dolore nel petto che lo faceva stare sempre più male.

Poco più di un giorno. Le era bastato poco più di un giorno per fargli così male.

*



Se chiudeva gli occhi riusciva ancora a sentire il suo nome nella testa, gridato con voce straziata dal dolore. E ogni volta faceva sempre più male, mentre si costringeva a pensare che aveva fatto la cosa migliore, per entrambi.

Salì le scale in fretta, senza il minimo sforzo fece tutti e cinquantatre i piani, e raggiunse la porta della suite che divideva con Adam.
Solo al pensiero di tornare da lui, dopo quello che era successo con Bill, la faceva morire di nuovo.

Si annusò velocemente ed imprecò a mezza voce. Era invasa dal profumo di Bill, oppure era la sua immaginazione? Sperava che Adam non notasse nulla.

Passò la chiave magnetica nell’apposita fessura e la porta si aprì con uno scatto. Fece un respiro profondo e poi entrò, si guardò intorno e trovò il lussuoso appartamento silenzioso e buio, anche se per lei il buio non esisteva da quel maledetto giorno in cui…

«Già qui?», chiese in tono dolce Adam, materializzatosi di fronte ai suoi occhi.
Sul letto c’era ancora la forma del suo corpo. Era senza camicia e la luce chiara della luna gli scolpiva la schiena, perfetta come se fosse una scultura di marmo.

«Sì, già qui», rispose con voce strozzata.

«Ho saputo che stamattina hai tenuto compagnia a Bill, è così?».

Chiuse gli occhi al dolore che quel nome le riportava alla mente.
«Sì». La sua voce ormai era un sussurro.

«Ti piace?», le chiese in tono pacato, tutto il contrario di ciò che si aspettava.

Alzò lo sguardo su di lui e trovò occhi che non aveva mai visto: erano delusi, tristi, feriti…
Sobbalzò e si gettò fra le sue braccia: non riusciva a vederlo così, non ci riusciva! Lui era il suo Adam, il ragazzo che le aveva salvato la vita quando ormai questa era già finita e che l’aveva aiutata a ricominciare, che l’aveva protetta, che le era stato sempre vicino, che l’aveva amata prima di qualunque altro, più di chiunque altro.

«No, non mi piace», mormorò al suo orecchio.
Le bugie facevano male, lo sapeva bene, perché oltre fare male a lui quando avrebbe capito che gli mentiva, facevano male a lei in quel momento.
«Io…», deglutì il nodo che le impediva di parlare, «io amo solo te».

Adam trattenne una risata che risultò amara dal principio e le prese il viso fra le mani, poi la baciò. Era un bacio dolce, tenero, passionale, ma niente a che vedere con quello che le aveva dato Bill poco prima. Quel bacio non le faceva provare nulla, rispetto a quello che aveva provato con quello del cantante, stando fra le sue braccia calde, con le pulsazioni del suo cuore che ne dettavano il ritmo.

Si obbligò a ricambiare, perché era sempre stato così e così sarebbe stato ancora, fino all’eternità. Così doveva essere, fine della storia.

Intrecciò le dita fra i suoi capelli neri e si lasciò spogliare, lo spogliò e finirono col fare l’amore – se quello poteva ancora essere chiamato amore – lì all’ingresso, lei con la schiena al muro e le gambe avvinghiate intorno alla sua vita solida.
Nascose il viso contro il suo collo marmoreo e lo morse piano, in preda ad un tormento interiore.

Poco più di un giorno. Gli era bastato poco più di un giorno per farle così male.

_____________

La canzone che ho usato in questo capitolo e che, anticipo, ho usato anche nel prossimo, è Il tempo di un minuto, dei Finley.
 
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_Pulse_
view post Posted on 3/12/2010, 16:30




Capitolo 4
Thief of heart


{Nel silenzio tra un secondo e l'altro io vivrò
nell'ansia dell'attesa di un miracolo
Salvami ti prego,
salvami da questa trappola
che gira intorno e non si ferma mai}



Il concerto della sera precedente era stato un disastro, Bill non ci stava con la testa e tutti sapevano dov’era: con Alisha, che quando se n’era andata, chissà per quale motivo, si era portata dietro un pezzo di lui.

Tom lo guardò dormire nel suo letto, rannicchiato su un fianco, esattamente come da bambino.

Lo aveva implorato, quella notte, per farlo dormire con lui, e che cosa doveva fare, dirgli di no e sbattergli la porta in faccia? Lo aveva accolto a braccia aperte e aveva parlato con lui per un bel po’, senza comunque riuscire a cavare un ragno dal buco sulla questione “Alisha”, ma lo aveva stancato abbastanza da farlo crollare addormentato come un sasso.

Era arrabbiato con lei. Era arrabbiato con Adam. Era arrabbiato anche con Bill, perché lui e i suoi sentimenti tanto fragili avevano sbagliato ancora persona e ne stavano pagando le conseguenze.
Ma, infondo, non se la poteva prendere con lui, né con i suoi sentimenti. Sapeva che quei cosi non si controllavano, che quando impazzivano non c’era più niente da fare. Fin lì, lui che non ci aveva mai capito un tubo, ci era arrivato.
Però non poteva sopportare che il suo caro fratellino stesse male, doveva fare qualcosa per aiutarlo! Decise che quello era il momento adatto per mettere in pratica ciò che aveva detto il giorno prima, ancora prima dell’inizio dello show.

Si preparò – il tempo di una doccia – e scese nella hall con la piena intenzione di investigare su Alisha ed Adam. Prima di tutto, voleva andarli a trovare per vedere come vivevano e raccogliere indizi, come il migliore agente della CIA, per risalire al loro passato e… a tutte quelle cose lì.
Nella tana del nemico… pensò, emozionato solo all’idea. Da piccolo aveva sognato di fare l’agente segreto!

Si avvicinò alla reception con passo sicuro e si appoggiò al bancone con le braccia, lo sguardo malizioso puntato sulla donna dietro di esso.
«Buongiorno», salutò languido.

«Potrei essere tua madre», gli rispose atona, senza nemmeno alzare gli occhi dallo schermo del computer.

«Oh, l’età è solo un numero e su di te non ha alcun significato».

La donna, sulla quarantina, gli occhi scuri e i capelli biondi raccolti sulla nuca, tutto sommato ancora attraente, lo guardò in viso e sorrise amorevole, come se stesse guardando suo figlio.
«Su, dimmi che cosa vuoi e poi sparisci».

Tom si rallegrò e si sporse sul bancone, tanto da riuscire a guardare ciò che appariva sul plasma. «Vorrei sapere in che stanza pernottano due certi Adam e Alisha…», sussurrò. «Potrebbero non essere i loro veri nomi, sono due individui molto sospetti secondo il mio punto di vista», concluse, annuendo saccente.

Ormai era completamente partito, stile fantasie di JD di Scrubs, tanto da averli immaginati come trafficanti d’armi, di droga e di persone, terroristi oppure pericolosi latitanti in fuga dalla polizia di mezzo mondo, ricercati per i loro crimini atroci… E pensare che erano stati così vicini a loro! Avrebbero potuto sequestrarli e poi chiedere un’ingente somma di denaro per il loro rilascio e nel peggiore dei casi avrebbero persino potuto ucciderli! Senza contare che Bill si era mezzo innamorato di Alisha. Senza il mezzo.

La donna, piuttosto divertita, gli schioccò le dita di fronte al viso per farlo tornare con i piedi per terra. «Smettila di fantasticare, io ho del lavoro da fare».

«Sì, scusami». Tornò a concentrarsi.

«Comunque sia, sono informazioni riservate e non posso dirtelo».

«E dai, è importante!», la pregò saltellando. «Ne va della mia vita!».

Quella volta la receptionist sgranò gli occhi, ma si riprese in fretta, pensando che il chitarrista dei Tokio Hotel doveva aver abusato di qualche sostanza stupefacente e/o dosi sbagliate di farmaci – non sarebbe stata la prima volta, da quel che ne sapeva – e credeva di essere diventato una spia.
Queste celebrità…

«E va bene, ma vieni qui, stai attirando l’attenzione!» Gli aprì l’entrata a scomparsa nel bancone e lo fece sedere accanto a sé.
Lui si acquattò accanto alla sedia girevole e si accorse che aveva anche delle belle gambe, fasciate dalle calze di nylon. La donna se ne accorse e gli tirò uno scappellotto; Tom accusò il colpo senza proferir parola: se lo meritava.

«Allora, di chi vuoi sapere?», gli chiese a bassa voce, digitando sulla propria tastiera.

«Adam e Alisha. Due tipi strani, impossibile non notarli!».

«Più che strani, io oserei dire affascinanti, soprattutto lui», fece un sorrisetto malizioso e Tom sbuffò.

«Siamo una squadra, non mi venire contro!».

«Siamo una che cosa?!», quasi gridò e qualche ospite si girò verso di lei, incuriosito. Arrossì e si girò verso il chitarrista, sotto la scrivania, che sorrise in modo innocente.

«Brenda, stai calma», si disse facendo un respiro profondo.

«Ti chiami Brenda? È davvero un bel nome!», disse Tom.

«Grazie. Spero che per tutto questo ci sia un extra nel mio stipendio! Potrei anche essere licenziata, aiutandoti!».

«Non ti preoccupare, tutto quello che desideri!».

«Sì, sì», mugugnò. «Stavano nella Penthouse B».

Tom sgranò gli occhi, colto di sorpresa. «Quella super mega ultra suite al cinquantatreesimo piano? Quella?».

Brenda annuì. «Avevi qualche dubbio sul fatto che quel fusto fosse ricco? Si vedeva lontano un miglio! Eppure… deve essere tutta eredità, non ce lo vedo a lavorare, lui».

«Magari è un rapinatore di banche», si portò la mano al mento. Brenda lo guardò stupefatta e si portò una mano sulla faccia, disperata. «Che c’è, bisogna prendere in considerazione tutte le opzioni!».

«Scusami, Tom, posso darti del tu? Che cosa te ne importa? Ho detto che stavano nella Penthouse B!».

Tom spalancò la bocca e boccheggiò fino a quando non riuscì a formulare una frase di senso compiuto: «Quando se ne sono andati?».

«Stamattina presto, ero appena arrivata».

«Cazzo», mormorò, prendendosi la testa fra le mani.
Come avrebbe fatto ad investigare, ora che se n’erano andati?! E come lo avrebbe detto a Bill, soprattutto… Gli si sarebbe spezzato il cuore per la seconda volta.
«Perché se ne sono andati?». A stento riuscì a mantenere il controllo della propria voce.

«E io che ne so? So solo che sono usciti dall’ascensore con le valigie in mano, si sono fermati qui, hanno pagato, in contanti, e se ne sono andati. Lei sembrava molto impaziente di levare le tende, anche se mi è parsa molto triste», rimuginò, poi sospirò.

«Ma come fate voi donne a sapere tutte queste cose solo con uno sguardo?», chiese, sconvolto.

Brenda sorrise. «Forse siamo molto più sensibili e attente di voi. Sta di fatto che non ho ancora capito perché ti interessano così tanto».

«Ha qualche importanza, ora come ora? Brenda, devi assolutamente dirmi se hai notato qualcosa di strano in loro, qualsiasi cosa», quasi la supplicò, con gli occhioni grandi da cerbiatto.

Sospirò. Come mamma, non poteva resistere a quello sguardo. Si portò una mano al mento e si appoggiò allo schienale della propria sedia girevole, meditabonda. «Beh… una cosa c’è, ora che ci penso».

«Che cosa?», chiese Tom con un barlume di speranza negli occhi.

«Non li ho mai visti mangiare».

«Mangiare?».

«Sì, non li ho mai visti mangiare e c’è da tener conto che nella suite in cui stavano non c’era la cucina». Rimase ancora un po’ a riflettere, poi scosse la testa. «Ma è del tutto irrilevante, potevano benissimo –».

«Avere le scorte di cibo nelle valige?», sollevò il sopracciglio. Quella storia lo convinceva sempre meno.

«Beh, che ne sai… ce n’è di gente strana, te lo posso assicurare», lo guardò eloquente, tanto che Tom si lasciò scappare una risata, nonostante non ne fosse proprio in vena. «E poi avrebbero potuto benissimo andare a mangiare fuori tutte le sere, non mi sorprenderebbe. Io non sto qui ventiquattrore su ventiquattro, faccio i turni con la mia collega, quindi è probabile che io non li abbia visti».

«Mmh».

Si voltò verso di lui e vedendolo così preoccupato ed assorto nei propri pensieri roteò gli occhi al cielo e lo raggiunse sotto il bancone.
«Siamo una squadra, no?», gli disse accarezzandogli la testa. «Mi dici a che è servito tutto questo?».

«Mio fratello si è preso una cotta colossale per Alisha», mugugnò, lo sguardo rivolto verso il pavimento.
Non avrebbe dovuto dire certe cose ad una persona che non conosceva nemmeno, ma in quel momento non ci pensò troppo e poi lui e Brenda erano una squadra, no? E, inoltre, non gli sembrava il tipo di donna capace di andare a spifferare tutto al primo giornale di gossip.
«Scusa se te lo chiedo, ma… mi prometti di non dire niente a nessuno?», le chiese lo stesso, per sicurezza.

«Stai tranquillo, c’è il segreto professionale!», lo rassicurò, facendogli l’occhiolino.

«Beh, se dici informazioni riservate al primo che passa non è che mi fiderei molto di questo segreto professionale», disse divertito, riferendosi alla facilità con la quale gli aveva rivelato dove pernottassero Adam e Alisha.

Brenda arrossì. «Non sei il primo che passa… E poi mi hai fatto gli occhi cucciolosi! Mi hai corrotta!».

«Sì, in effetti il mio fascino è irresistibile», annuì e ridacchiò, per poi tornare all’argomento di cui stavano discutendo in precedenza. «Comunque, mio fratello si è preso questa enorme cotta per Alisha ed io me lo sentivo che questa storia sarebbe finita male, infatti ieri è scappata via e ora vengo a scoprire che se n’è andata… Ci rimarrà malissimo».

Brenda lo guardò con occhi da mamma e gli fece un buffetto sulla guancia. «Hai fatto una cosa veramente bella per tuo fratello, sono sicura che apprezzerà. Per quanto riguarda la bella Alisha…», sospirò e si tirò su, si mise di nuovo seduta sulla sua sedia e aprì un cassetto chiuso a chiave, dal quale tirò fuori una busta bianca immacolata. «Mi ha lasciato questa, per il signor Bill Kaulitz. Me l’ha data di nascosto, probabilmente non voleva che Adam la vedesse, e mi ha detto di darla solo ed esclusivamente a lui. Io, adesso…». Gli allungò la lettera, titubante, e Tom fu lì lì per prenderla, come se fosse una visione celestiale, quando lei gliela tolse da sotto il naso, puntandogli il dito contro, minacciosa. «Io te la do', ma tu devi promettermi che non l’aprirai e non la leggerai prima di Bill. Me lo prometti?».

Tom deglutì e chiuse gli occhi. «Sì, te lo prometto».

«Bravo bambino», sorrise soddisfatta, battendogli un colpettino sulla testa. «Ed ora sparisci, mi hai fatto perdere un sacco di tempo».

Tom acciuffò la lettera e con un sorriso radioso si alzò, finendo a sbattere contro il legno sopra la sua testa.

«Ti sei fatto male?», gli chiese Brenda preoccupata; lui negò con un movimento del capo.

«Sto bene», rispose con voce strozzata.
La donna gli diede una mano ad alzarsi e gli accarezzò le treccine, lui le sorrise riconoscente e le stampò un bacio sulla guancia.
«Grazie di tutto, ora devo scappare!», le disse prima di schizzare via e farsi spazio fra le persone per prendere al volo l’ascensore.

Brenda lo guardò sparire e ridacchiò, poi tornò al suo lavoro vero.



Nell’ascensore, osservò la lettera che stringeva fra le mani per il nervosismo e per un attimo gli sembrò bollente, tanto che se la ficcò in tasca. Aveva promesso che non l’avrebbe letta e non l’avrebbe fatto, lui era un ragazzo onesto! Però si trattava di Bill… E Alisha gli faceva ancora storcere il naso. Cosa doveva fare?

Non aveva ancora deciso, quando le porte si aprirono con un “din” al suo piano e si ritrovò nel corridoio, non molto lontano dalla propria stanza. La raggiunse un passo dopo l’altro, camminando come un automa, gli occhi piantati a terra e la mente vuota. Non era mai stato così indeciso in vita sua!

Diede un colpo di testa alla porta e si maledì per averlo fatto: faceva male! La prima botta doveva averlo rincoglionito tanto da non riuscire a farlo ragionare lucidamente, chissà dopo quel colpo…

La porta si aprì verso l’interno e Tom caracollò nella camera, perdendo l’equilibrio. Un capogiro lo fece finire seduto sul letto e guardò con un sorriso ebete il fratello, scioccato, con la mano ancora sul pomello.

«Tom, ti sei ubriacato a quest’ora?», gli chiese.

«No, no! Ho solo picchiato la testa, da Brenda».

«Brenda? Chi è Brenda?».

«La mia compagna di squadra».

«Che… Tom, tu non stai bene, lasciatelo dire. Forse è meglio se ti sdrai un po’ e dormi, okay?». Cercò di spingerlo sdraiato a letto, ma lui opponeva resistenza e quando alla fine cedette Bill gli cadde addosso.

«Ehi, ehi, ehi! Non ti approfitterai di me solo perché ho due bernoccoli sulla testa!», gridò Tom cercando di spostarselo di dosso.

Bill fece da sé e si sedette al suo fianco, sempre più confuso. Non riusciva a capire che cosa gli fosse successo e… chi era Brenda? Avere suo fratello in quelle condizioni, però, lo distraeva e non gli faceva pensare a… Chiuse gli occhi e ricacciò indietro le lacrime.

Tom si tirò sui gomiti, improvvisamente serio, senza staccare gli occhi dai suoi; estrasse dalla tasca dei jeans una busta bianca e gliela porse.

«Che cos’è?», chiese il cantante, mentre un brivido gli saliva su per la schiena. Non era un buon segno, decisamente no.

«Una lettera», rispose risoluto il gemello.

«Di chi?».

«Di Alisha, l’ha lasciata alla reception… Se n’è andata stamattina», sospirò afflitto e gli diede un colpo sulla spalla, per confortarlo, e poi si lasciò cadere di nuovo con la testa sul cuscino, gli occhi chiusi.

Bill gli diede le spalle e si girò quella busta fra le mani, gli occhi umidi. L’aprì, tremando, e se la avvicinò al viso: il suo profumo lo invase e una lacrima scivolò leggera sulla sua guancia, se l’asciugò con un gesto distratto della mano e tirò su col naso. Stirò il contenuto della busta – inchiostro nero su carta bianca – sulla gamba e poi si immerse nella lettura di quelle parole che man mano che scorrevano sotto i suoi occhi lo facevano sempre più sprofondare nel nulla.



Caro Bill,
non mi perdonerò mai per quello che ti sto facendo, ma, che tu ci voglia credere o no, è meglio così.
Quello che sto cercando di dirti, se solo trovassi le parole adatte, è che sto partendo e che non ci vedremo più. Di questo ne sono sia triste che felice, perché da quando uscirò dalla tua vita starai meglio, di questo ne sono certa, ma non vorrei farlo, non vorrei andarmene, non vorrei separarmi da te.
Non so come tu abbia fatto, ma in pochissimo tempo sei riuscito a sconvolgermi, letteralmente. Per questo è meglio che noi due…
Siamo troppo diversi, tu non puoi immaginare quanto, con me non potresti essere felice, anzi… saresti costantemente in pericolo… e io non posso permetterlo.
Per quanto possa essere assurdo, ti voglio bene davvero e non voglio farti del male. Non hai ancora capito che cosa sono, io?
Quando leggerai questa lettera (se la leggerai, non è mica detto che tu voglia starmi ancora a sentire dopo quello che ti ho fatto), io sarò già lontana e sarà l’ultima volta che sentirai parlare di me.
Vivi la tua vita, Bill, sii felice. Allora lo sarò anche io.
Sono contenta di averti conosciuto.
Addio,

Alisha


A quel punto, cercare di trattenere le lacrime era inutile. Si accovacciò accanto al fratello, quella lettera stretta al petto, e pianse ogni lacrima che ancora aveva in corpo, fino ad addormentarsi.

*



Un urlo agghiacciante in mezzo al bosco fece volare via gli uccelli che si erano posati sugli alberi per dormire. Fu questione di un attimo. Un attimo e il silenzio tornò sovrano nel buio della notte.

Guardò Adam chino sul corpo della guardia forestale che aveva attaccato a colpo sicuro e lo osservò mentre prosciugava l’uomo di tutto il sangue che aveva. Per un istante vide il corpo di Bill al posto di quell’altro e lei sopra di esso, che si nutriva avidamente di lui, gli occhi lucenti e i vestiti macchiati di quel delitto indicibile.
Fu costretta a voltarsi e a sorreggersi ad un albero, respirando velocemente, gli occhi sgranati per lo shock.

Si convinse per l’ennesima volta che aveva preso la decisione giusta, separandosi definitivamente da lui, anche se più i minuti passavano, più si sentiva sprofondare in una voragine buia e profonda che non dava alcuna speranza di risalita.

«Alisha, tu non –».

«No», lo interruppe a metà lei. «No, non ho fame questa sera».

«Sei strana, sicura di star bene?».


Adam la prese per le braccia e la voltò per poterla guardare negli occhi. Alisha ricambiò incerta lo sguardo e sospirò di sollievo quando lo vide pulito come se non avesse fatto nulla, come se non avesse ucciso per sopravvivere. La sua camicia era ancora del colore della luna e appoggiò il viso contro il suo petto, stringendolo forte.

«Alisha», sospirò il ragazzo. «Mi vuoi spiegare cosa c’è che non va? Stamattina sei voluta andare via dal Royalton a tutti i costi, io ti ho accontentata senza chiederti niente, ma ora voglio sapere». Le sollevò il viso con un dito e si specchiò nei suoi occhi blu. «Sai che mi fa male vederti così».

«Non è niente, Adam, sul serio», gli sorrise come meglio poté e lui si convinse, oppure fece finta.

Il ragazzo si scostò da lei dopo un bacio a fior di labbra e si girò verso il piccolo cumulo di polvere dietro di sé (ciò che era rimasto della guardia forestale), poi la prese per mano ed iniziò a correre fra gli alberi, trascinandosela dietro.

Il vento le frustò il viso e chiuse gli occhi, correndo con le proprie gambe, impiegando ogni energia. Tutti i muscoli erano in sincronia fra loro ed era una sensazione favolosa, quella.

Amava correre, silenziosa e al passo del vento. La faceva sentire libera, ma quella volta no.
Per quanto si sforzasse, si sentiva un’assassina per tutti gli omicidi che aveva compiuto e che prima o poi sarebbe tornata a compiere, essendo una predatrice di natura, e si sentiva anche una ladra che scappava custodendo dentro qualcosa che aveva rubato a Bill, ciò che lui aveva rubato a lei: il cuore.

_______________


La canzone che ho usato è ancora, come vi avevo già anticipato, Il tempo di un minuto, dei Finley.
E, per chi se lo fosse chiesto, io ho immaginato Adam COSI’. Ma lasciate pure volare la fantasia *-*

 
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_Pulse_
view post Posted on 3/12/2010, 20:54




Capitolo 5
My biggest mistake, that I’ll make again


{My heart won’t move, it’s incomplete
Wish there was a way that I can get you to understand…
But how do you expect me to live alone with just me?
‘Cause my world revolves around you, it’s so hard for me to breathe}

[Il mio cuore non si muoverà, è incompleto
Se solo ci fosse un modo per farti capire…
Ma come ti aspetti che io viva da solo con solo la mia compagnia?
Perchè il mio mondo gira attorno a te, è così difficile per me respirare]


Pioveva. Pioveva così forte che il rumore della pioggia battente sulla strada e sul tetto del tourbus era il sottofondo di un pomeriggio noioso e malinconico. Soprattutto per Bill, seduto nella zona relax, accanto al grande finestrino.

Non si era ancora ripreso dal giorno in cui lui e Alisha si erano separati e ancora non sapeva quando e se sarebbe riuscito a riprendersi del tutto. Ogni volta che la pensava, in mezzo al petto gli si creava un vuoto che gli faceva male; in confronto, la scoperta, o meglio l’idea, di ciò che potesse essere la bionda non era niente.

Il giorno in cui aveva ricevuto la lettera d’addio si era chiuso in camera, dopo essersi procurato diversi libri e il pc di Gustav, e non ne era uscito fino alla mattina successiva, arrivato alla conclusione che forse, per quanto impossibile potesse essere, lei era…

«Bill, mi passi le caramelle?», chiese Tom allungandosi verso di lui.

Gli passò il pacchetto senza nemmeno guardarlo in faccia e poi riprese il filo dei propri pensieri, tornando a guardare l’acqua che scendeva dal cielo in un moto rilassante e piacevole.

Tutto combaciava alla perfezione, tranne l’assurdità della teoria. Insomma, creature del genere non esistevano! O forse esistevano e loro non ne erano a conoscenza: erano lì, in mezzo a loro, indisturbati, pronti a sorprendere le loro vittime ogni qual volta si distraevano un…

Tom gli lanciò in testa il pacchetto vuoto delle caramelle, distraendolo per l’ennesima volta, ma Bill non fece una piega, anzi lo raccolse da terra e lo sistemò sul tavolino, sul quale lo stirò per osservare la figura disegnata sopra la plastica.


Sollevò lo sguardo e si rese conto che ormai erano quasi arrivati all’hotel in cui avrebbero alloggiato per la loro permanenza a Toronto.
C’erano alcune persone che camminavano fra i marciapiedi, sotto gli ombrelli colorati, ben infagottati in giubbini e giacche a vento. Tutti tranne una, una ragazza, senza ombrello e che indossava semplicemente una tuta nera. Bill l’avrebbe riconosciuta fra un milione, anche se aveva il cappuccio a coprirle la testa non poteva confondere quel profilo, quella camminata sicura, era lei, era proprio lei!

«Ferma, ferma tutto!», gridò alzandosi in piedi, barcollando fino all’autista, che sbigottito accostò sul ciglio della strada. «Aprimi la porta, però!», continuò a gridare come un pazzo, il viso arrossato e la vena sul collo in evidenza.

Tom fece appena in tempo a raggiungerlo per capire che cosa volesse fare e vederlo schizzare fuori dal bus, sotto la pioggia. Uscì anche lui e lo guardò correre lungo il marciapiede, gridando con tutto il fiato che aveva di tornare indietro, ma Bill non gli diede ascolto e continuò a correre verso il suo traguardo, andando contro alla marea contraria di passanti, creandosi un varco.

Non pensò minimante all’idiozia che stava facendo, correndo sotto la pioggia senza bodyguard, completamente allo scoperto in un mondo pieno di pericoli per una star come lui. Non gli diede alcuna importanza.

Ormai mancava poco, il suo obbiettivo si era fermato, rigido come un pezzo di legno, le spalle ricurve in avanti. Era lei, ne era sempre più sicuro ogni secondo che passava, ogni goccia di pioggia che gli cadeva sul viso sbavandogli il trucco. Non sentiva nemmeno la gola bruciargli dalla corsa, né la stanchezza; tutto ciò che sentiva era una gioia incontrollabile, che lo invadeva da capo a piedi.

Si fermò dietro di lei e si accorse di avere il fiatone, ma non se ne fece un problema. La prese per le spalle e la voltò per guardarla in viso: i loro occhi si incrociarono come la prima volta, nocciola dentro blu cobalto, e il suo cuore scoppiò nella cassa toracica.

«Tutto questo non è possibile», mormorò con voce spezzata Alisha, sconvolta.

Il sorriso di Bill si affievolì pian piano quando si accorse delle ombre violacee che le circondavano gli occhi tristi. Posò una mano sulla sua guancia gelata – provò quasi piacere a quel contatto, gli era mancato troppo quel freddo – e le spostò un ciuffo bagnato dal viso.
«Che cosa stai dicendo?», le chiese.

«Mi ero promessa che sarei scomparsa dalla tua vita e ora… ti ritrovo qui».

«Alisha, io… io non voglio che tu scompaia dalla mia vita! Io voglio che tu ci sia! Ti prego, Alisha…». Lei fece una smorfia incerta e disperata, tanto che si sarebbe messa molto volentieri le mani nei capelli. «A me non importa che cosa tu sia in realtà, io ti amo così come sei!».

Strabuzzò gli occhi. «Che hai detto?».

Bill arrossì, provocando quell’adorazione istantanea ad Alisha, che sorrise, accarezzandogli la guancia con il dito.

«Ho detto che ti amo, per quanto folle possa essere. Ci conosciamo da così poco, eppure… io lo sento, ho sofferto tantissimo quando te ne sei andata e non voglio che accada più!».

«Bill, non ti rendi conto del pericolo che corri». Lo disse con gli occhi ridotti a fessure, i denti stretti e una voce gutturale, sembrava un ruggito.

«Non ho paura», le rispose nello stesso tono, aumentando la presa sulle sue mani. «Non di te».

«Ma di Adam ne hai, vero?».

«Non se sono con te».

Alisha sbattè un piede a terra e Bill osservò la crepa che si era creata, sbalordito.
«E questo non è niente», gli sussurrò la bionda, alzando il sopracciglio, disgustata. «Io sono pericolosa, Bill, punto e basta. Questo non è uno dei romanzi che ti piacciono tanto, questa è la realtà e non è come credi tu. Io posso trattenermi, è vero, ma se dovesse sfuggirmi il controllo? Se dovessi… farti del male?», chiuse gli occhi, rabbrividendo. «Non posso nemmeno pensarci».

«Non mi farai del male, ne sono più che certo».

Lo guardò negli occhi per diversi istanti e poi sospirò afflitta: era troppo convinto delle sue parole per farlo ragionare, oltre ad essere troppo… innamorato. A quella parola sobbalzò e si chiese se anche lei fosse ai suoi livelli.

«Alisha…». La costrinse ad alzare il viso e le sorrise, mentre la pioggia continuava a cadere su di loro senza sosta, bagnandoli dalla testa ai piedi. «Voglio stare con te, a qualsiasi costo».

«Continuo a pensare che sia troppo pericoloso», scosse la testa con disappunto, abbassando gli occhi.

Bill le sfiorò lo zigomo e poi passò le dita sotto l’occhio destro: «Che hai fatto qui? Non è che non stai più… mangiando?», deglutì la nausea che gli era venuta quando aveva immaginato Alisha nutrirsi di sangue umano, uccidendo.

«Ti fa ribrezzo la mia natura, è insensato che tu mi ami», gli rispose dura, scostandosi.

Bill sfiorò l’isteria e la strattonò per un braccio, senza smuoverla di un centimetro. Dovette spostarsi lui per guardarla in viso.
«Dimmi che non provi qualcosa per me. Dimmi che non provi alcun sentimento per me e allora me ne andrò».

Alisha boccheggiò, gli occhi spalancati. «Io… io… io non posso dire che non provo alcun sentimento per te, sei scorretto!».

«Lo so!», saltellò sul posto e la prese per la nuca per baciarla, ma lei lo tenne a distanza con una forza che non si sarebbe mai immaginato ma che infondo doveva aspettarsi, da una come lei.

«Ti prego, Bill, no».

«Invece sì!».

«Ci manca solo che ti metti a fare i capricci!», gridò e Bill approfittò del suo momento di distrazione: si avventò contro le sue labbra e le assaporò di nuovo con foga, poi, appena la sentì ammorbidirsi, si rilassò e si godette appieno il loro profumo, il loro sapore irresistibile e la loro innaturale freschezza.

«Okay, può bastare», mormorò Alisha, staccandoselo di dosso con la forza.

«Sì, per ora», sospirò soddisfatto. «Ora è meglio se… se vai a mangiare qualcosa, voglio dire… qualcuno, se no…».

«Sei ridicolo», ridacchiò la bionda.

«La faccenda è ridicola, non io! Non puoi diventare vegetariana?». Alisha arricciò il naso: solo l’idea di affondare i denti in un grizzly non la faceva impazzire. «Sarebbe tutto più semplice!».

«Nessuno ci ha mai provato, in realtà. È di sangue umano che viviamo, noi».

«Beh, tentar non nuoce!», aprì le braccia, un sorriso a trentadue denti sul viso.

«Questa conversazione ha dell’assurdo: tu dai dei consigli a me sulla mia dieta? Bill, torna sul bus, Tom si sta spazientendo parecchio», lo esortò, indicandogli la strada con il braccio.

«Ah, a proposito di Tom», si avvicinò al suo orecchio e le sussurrò: «Non gli piaci, non ha ancora capito che cosa sei».

«Oh, se non gli piaccio ora pensa quando scoprirà che sono una…». Bill la interruppe con un nuovo bacio sulle labbra.
«La vuoi smettere?!», lo rimproverò Alisha, anche se si sentiva solo euforica: in quel momento aveva voglia di correre e di gridare a tutto il mondo che si sentiva di nuovo viva, dopo anni ed anni.

«Okay, la smetto», rispose docile il cantante, sfiorandole la guancia con le dita. «Questa sera però vieni da me».

«Non ha il tono di una domanda», osservò.

«Infatti, non lo è», sorrise birichino. «È un ordine».

«Oh-oh, che paura».

«Verrai?».

Alisha osservò i suoi occhi grandi e caldi, era impossibile rifiutare una richiesta simile! Non sarebbe stato facile spiegare ad Adam il motivo della sua uscita del tutto fuori programma, ma avrebbe trovato un modo. Per Bill, questo ed altro.
«Sì», gli promise, con voce dolce. «Ora vai».

Bill annuì e si chinò per baciarla un’ultima volta sotto la pioggia, lei non si tirò indietro e lo lasciò fare, poi, soddisfatto, tornò sul tourbus di corsa, dove lo aspettava un gemello piuttosto incazzato.

Alisha, con un sorriso estasiato sulle labbra, riprese a camminare e quando fu sicura di non essere vista da nessuno, iniziò a correre velocissima, nel vento. Libera.



Entrò nella suite con quella sensazione di totale libertà e felicità che le circolava ancora nelle vene, tanto che aveva un sorriso a trentadue denti sul viso e una tale pace interiore che le aveva fatto dimenticare per un istante tutti i dubbi, le incertezze, le paure… persino Adam. Infatti, quando si chiuse la porta alle spalle e se lo trovò davanti agli occhi sobbalzò dallo spavento. Tutto le ricadde addosso con una violenza inaudita e dovette sforzarsi per mantenere i nervi saldi e non far sorgere alcun sospetto nel bel compagno.

«Sei stata via poco», osservò Adam con piacere. Le sfiorò la guancia, fino ad arrivare all’ombra violacea che le circondava l’occhio destro. «E non hai mangiato. Come mai?».

«Non avevo voglia», rispose risoluta, scostandosi e andando verso il letto, sul quale si abbandonò.

«Ah no? Sento i crampi del tuo stomaco da qui».

«Non è un problema, uscirò stanotte».
Non sarebbe stato facile, ma avrebbe potuto resistere al desiderio impellente di sfamarsi ancora per qualche giorno.

«Come vuoi». Adam sollevò le spalle e la raggiunse sul letto, sdraiandosi al suo fianco. Iniziò ad accarezzarle il ventre piatto e sorrise baciandole il collo e la mandibola. «Quindi dove sei stata?».

«Ho fatto una passeggiata».

Com’era difficile reprimere dentro tutta la gioia che provava e quel sorriso che non faceva altro che stuzzicarle le labbra per nascere! I baci di Adam le davano quasi fastidio, dopo aver ritrovato quelli caldi di Bill.


Non era riuscita a stare lontana da lui per molto tempo e, per quanto fosse sbagliato e contro natura, sapeva che non sarebbe più riuscita a fare a meno di lui, non avrebbe retto ad una nuova separazione. La verità era che anche lei voleva stare con lui, si era proprio innamorata, e avrebbe fatto di tutto perché la loro storia impossibile andasse a finire bene. Doveva solo impegnarsi e abituarsi a quelle nuove sensazioni – più forti, più vive – oltre che riuscire a separarsi dal suo attuale compagno…
Solo a pensarci le venivano i brividi. Come avrebbe reagito alla notizia? Sicuramente non avrebbe fatto i salti di gioia e Alisha aveva anche il timore, se non la certezza, che non le avrebbe permesso di lasciarlo: era troppo innamorato, lui, e non avrebbe mai accettato che un fragile essere umano gli soffiasse da sotto il naso la compagna di tutta una vita.
La sua mente proiettò ai suoi occhi una scena in cui Adam attaccava Bill con tutta la forza che aveva, i canini scoperti e la ferocia di una bestia, e lo faceva fuori senza alcun rimpianto, più che soddisfatto di aver dimostrato la propria forza e quindi di avere il diritto di possedere la bionda.
Alisha rabbrividì ai suoi stessi pensieri, Adam se ne accorse e le accarezzò la guancia corrugando la fronte.

«C’è qualcosa che non va?», le chiese.

«No, io…», lo guardò negli occhi e deglutì, ansiosa. «Mi ami, Adam?».

«Certo che ti amo! Non devi nemmeno dubitarne», sorrise dolce, sfiorandole le labbra rosee con il dito.

«Quindi non… non faresti mai nulla che potrebbe ferirmi, vero?».

«No, ovviamente. Perché queste domande?».

«Niente. Per niente». Accennò un sorriso e poi si alzò.

«E ora dove vai?», le chiese tirandosi sui gomiti.
Non sembrava contento dei suoi continui sbalzi: Alisha si rese conto che ai suoi occhi doveva essere come una donna stressata e alquanto ansiosa, cosa che non era mai stata.

«Credo che andrò a mangiare», si portò una mano sulla pancia, sorridendo come meglio poté. «Non mi reggo più in piedi».

«Sì, forse è meglio che tu vada», ridacchiò. «Ti accompagno?».

«Ahm… no, non ti preoccupare. Ci vediamo dopo!».

«Torna presto! Ricordati che ti amo!».

«Sì», mormorò quando chiuse la porta, mentre un macigno le appesantiva il cuore di qualche tonnellata.

Come poteva fargli una cosa del genere? Possibile che fosse tanto egoista da non pensare minimamente a lui, che l’aveva tirata su quando era giù, che l’aveva amata quando nessuno la voleva o, meglio, quando non si sentiva voluta, che l’aveva confortata nelle notti in cui tutto sembrava così irreale? Poteva davvero fargli così male?

Uscì dall’hotel usando la porta sul retro, dopo aver attraversato la cucina con l’agilità di un felino per non farsi vedere dai cuochi e dai camerieri, e sotto il cielo buio si coprì il viso e sospirò.

Com’era complicata, quella situazione! Mai, in più di cent’anni, le era capitato di sentirsi così in conflitto con se stessa. Era anche peggio di quando aveva capito di essere ciò che era diventata e di dover accettare la sua natura. Lì almeno si era messa il cuore in pace, dicendosi che non l’aveva scelto lei di essere così e non poteva fare niente per cambiare.
Ora, invece, era lei che teneva le redini ed erano state tutte scelte sue, a parte quella dei suoi sentimenti, ma aveva comunque scelto di seguirli, piuttosto che di ucciderli sul nascere – come se non fosse già un’assassina. Qualcuno, in quella storia, si sarebbe fatto sicuramente male: se lei avesse seguito i propri sentimenti, Adam; se si fosse imposta di cancellare totalmente dalla sua vita Bill, ne sarebbero stati male sia lei che lo stesso cantante. Che cosa doveva fare?

Scosse la testa e si diresse verso l’hotel in cui sapeva alloggiasse Bill: doveva andare da lui e doveva farlo non solo per mantenere la promessa che gli aveva fatto, ma anche perché era il suo cuore, nonostante non battesse più, a dirglielo.

Arrivò di fronte al Four Seasons Hotel e si preparò psicologicamente prima di entrare. Si sorprese, quando notò che le stavano tremando le ginocchia dall’emozione.
Negli anni aveva imparato a non temere più nessuno, lei era la regina della notte, ed era strano che provasse quella sensazione solo a causa di quell’umano tanto buono quanto stupido, perché doveva essere davvero tanto stupido, se si era innamorato sul serio di lei. (Ancora non riusciva a credere che provasse davvero quel sentimento nei suoi confronti… Amore era una parola grossa!).

Si trovò subito a disagio, nella sua semplice tuta, quando entrò nella hall elegante e dai colori tenui, sul beige, in contrasto con la bellissima composizione di fiori blu e gialli, dei quali sentiva il profumo dolce da lì. Alla sua destra c’era un ampio salone nel quale si trovavano, su un rialzo, molti tavolini circondati da sedie di metallo nere.
C’era parecchia gente, ma riuscì subito a distinguere il volto di Tom, nascosto dietro una specie di menù. Ridacchiò ai suoi patetici tentativi di nascondersi e nel contempo spiarla senza farsi notare. Camminò verso di lui e a quel punto il chitarrista si arrese e sbuffò, irritato, portandosi alle labbra il suo bicchiere di Brandy Cuban.

«Ciao», lo salutò Alisha tirando fuori la mano dalla tasca.

Lui ricambiò con un cenno del capo e le indicò di sedersi. Lei annuì e si mise appollaiata sulla sedia immediatamente al suo fianco.

«Sei qui per Bill, vero?», le chiese con una tranquillità che la spiazzò del tutto, facendola incespicare con le parole.

«Sì, io… insomma… non era previsto che ci ritrovassimo, ma… mi avete scovata…».

«Avresti dovuto controllare tutte le tappe del nostro tour, se non volevi incontrarlo di nuovo».

«Sì, lo so».

«Ma non l’hai fatto», incrociò le mani sotto il mento e la guardò direttamente negli occhi.

«No».

Alisha si sentiva parecchio in soggezione, come una bambina di fronte al proprio padre dopo aver combinato un pasticcio, uno anche bello grosso, costretta a subire la ramanzina.
Come poteva permettere che quel ragazzino la trattasse in quel modo? Forse sapeva che aveva ragione, forse si sentiva proprio come una bambina in quel momento, bisognosa di conferme, di consigli dopo aver commesso un errore, per non ripeterlo.

«Quindi volevi rivederlo».

«Sì», rispose e si strinse nelle spalle, gli occhi bassi.

«E magari non hai mai voluto andartene veramente».

Sollevò di scatto la testa e lo guardò: sorrideva sghembo, come se avesse appena fatto un canestro da tre punti.
«Ho fatto la scelta che ritenevo migliore in quel momento, ma mentivo a me stessa. So di aver fatto soffrire Bill e non intendo fargli di nuovo del male, io… io tengo molto a lui», disse con la determinazione che via via scemò di fronte a quel nocciola intenso. Doveva avere un qualcosa di ipnotico, non c’erano altre spiegazioni.

Tom si sporse verso di lei e assottigliò gli occhi con fare minaccioso. «Sarà meglio», sibilò e tornò a sorseggiare il proprio cocktail.

«Allora… allora vado», balbettò Alisha, annuendo. Si alzò dalla sedia e non fece in tempo a fare un passo che lui le afferrò un polso fermandola.

«Tu non mi piaci, ci sono troppe cose di te che mi sfuggono», le disse, serio. «E poi, che cos’ha Bill che io non ho?».

Alisha arricciò le labbra per trattenere una risata e si chinò tanto da arrivare a sfiorargli il naso con il proprio. «Il dono dell’intelligenza, credo».

«Ah-ah, molto divertente», si imbronciò. «Stanza 504».

«Grazie mille».

Alisha si tirò su, gli sorrise ed attraversò il salone senza voltarsi mai indietro, non badando minimamente agli sguardi maschili che aveva attirato su di sé, fino a quando non raggiunse l’ascensore e vi entrò.


Una volta al piano, percorse i corridoi, fiancheggiando tutte le stanze, cercando di non ascoltare le conversazioni e i rumori che provenivano da dietro ogni singola porta, ma non poteva impedirsi di usare quello che in lei era uno dei sensi più sviluppati, l’udito. Per questo odiava farsi gli affari della gente in quel modo.

Raggiunse la camera numero 504 e chiuse gli occhi, si concentrò e percepì i battiti di quel cuore che le fecero trarre un sospiro di sollievo, oltre che sorridere. Dopodiché bussò.



Bill si passò un asciugamano fra i capelli neri e si osservò allo specchio: era struccato, ma a parte quello aveva un sorriso che se non avesse avuto le orecchie avrebbe fatto il giro di tutta la testa.
Era così felice di aver ritrovato Alisha… e non vedeva l’ora di rivederla. Gli tremavano le gambe e il suo stomaco si contorceva, tanta era l’emozione!

Dopo tutto quello che aveva sofferto quando se n’era andata, si era convinto ancora di più di essersi innamorato. Un amore a prima vista, un fulmine a ciel sereno, tanto sconcertante quanto sconvolgente. Perché Bill un po’ lo era, sconvolto. Insomma, Alisha era… era diversa da lui, eppure… Non riusciva ancora a capacitarsene e ogni volta in cui la immaginava sfamarsi gli veniva la nausea, ma era una reazione puramente istintiva, perché in cuor suo sapeva che lei non poteva fare altrimenti per sopravvivere.

Mise a posto il phon con il quale si era asciugato i capelli ed uscì dal bagno, stringendo le mani l’una dentro l’altra. Sembrava che la sua testa stesse diventando un frullatore, talmente le idee – poche – si mescolavano tra loro e si confondevano ancora di più l’una con l’altra.

Voleva trovare una soluzione a quel piccolo problema, ma non era facile come immaginava! Forse… forse aveva sempre avuto ragione Alisha: erano troppo diversi, appartenevano persino a due mondi differenti. Ma solo all’idea di cancellarla dalla propria vita gli veniva il magone e il suo cuore si trasformava in un macigno. No, non poteva lasciarla andare, cancellarla, era l’idea più stupida tra le poche che gli fossero venute in mente.

Bussarono alla porta a Bill ci si fiondò, andandoci quasi a sbattere. Sentì dall’altra parte la sua risata e si affrettò ad aprire, per poi prenderla per un polso e trascinarla in camera, dove la baciò con passione, stringendosela al petto.

Alisha si sentì rinascere al contatto con le sue labbra, ma i morsi della sete aumentarono e dovette staccarsi, malgrado le dispiacesse molto.

«Ma… non hai mangiato, vero?», le chiese lui, osservando le ombre violacee che le contornavano gli occhi blu. Lei scosse la testa, abbassando lo sguardo. «Devi farlo!». Faticò a dire quelle parole, ma era giusto così se non voleva che… «Vuoi per caso morire di fame?».

«Non è così semplice, Bill!». Sollevò il viso e sfidò il suo, digrignando i denti. «Ogni volta che penso di potercela fare mi viene in mente che potresti esserci tu, sotto i miei denti!».

Bill rabbrividì come se un serpente elettrico gli fosse strusciato sulla schiena e chiuse gli occhi, mormorando: «Non mi faresti mai del male».

«Ne sei così convinto?», strinse gli occhi e deglutì rumorosamente.

«Beh, se vuoi fai pure», la stuzzicò spostando i capelli dal collo e porgendoglielo. Lei arretrò d’un passo, coprendosi naso e bocca con la mano.

«Non sei affatto divertente», ruggì. «Visto che sei tanto sicuro che io non ti farò del male, sei altrettanto sicuro dei tuoi sentimenti? Mi ami davvero come io mi sono innamorata di te?».

Quelle parole lo ferirono. Osava dubitarne? «Sì, ti amo davvero», rispose determinato.

«Come fai a dirlo? Io sono una predatrice, Bill, perciò le mie prede sono ammaliate dalla mia bellezza, dal mio profumo… è una strategia, tu potresti essere tranquillamente la mia cena».

«Smettila di dire queste cazzate», disse morbido, abbracciandola. «Io ho sempre creduto all’amore vero, quello a prima vista, ed è proprio quello che è successo a noi. O mi sbaglio?».

Alisha sospirò. «No, purtroppo non ti sbagli».

«Non so se esserne contento oppure mandarti a cagare».

Si guardarono negli occhi e ridacchiarono, poi Bill le sistemò una ciocca di capelli dorati dietro l’orecchio e le sorrise, sussurrando: «Non mi sono innamorato di te perché sei bella o per il tuo profumo, è successo e basta. Quella sera ho letto nei tuoi occhi un qualcosa che non ho mai visto in nessun’altra, è questo che mi ha fatto impazzire. Sono ossessionato da ciò che nascondi, da ciò che pensi, dai tuoi occhi».

Se Alisha avesse potuto, si sarebbe messa a piangere dall’emozione. Mai nessuno le aveva fatto una dichiarazione del genere, neppure Adam, che era una delle persone più dolci che avesse mai conosciuto.

«Vuoi sapere da cosa sono ossessionata io?», gli chiese con quella poca voce che le rimaneva. Non attese una risposta, continuò semplicemente: «Dai battiti del tuo cuore, dalle tue guance che prendono fuoco quando arrossisci. Tu sei così vivo e questo rende viva anche me, in qualche modo, ma sei anche così maledettamente… vulnerabile e fragile, capisci? Ho una fottuta paura di farti del male, tu non puoi capire che cosa provo».

Bill non rispose. Era vero che non capiva, non avrebbe mai capito, perché lui era fermamente convinto che Alisha non gli avrebbe mai fatto del male, ma solo stando con lei rischiava ogni secondo della sua vita, per non parlare poi di Adam… lui sì che gli faceva paura, paura vera.

«Sai cosa mi farebbe veramente male, Alisha?», la guardò negli occhi e le accarezzò la guancia fredda con la mano. «Se tu decidessi di non stare con me perché mi consideri fragile. Forse lo sono, ma bruceresti ogni mia difesa se –». La ragazza lo interruppe con un bacio, le braccia avvolte intorno al suo collo. Bill sorrise e la strinse a sé cingendole i fianchi.

«Hai vinto tu», gli sussurrò all’orecchio. «Sono troppo egoista per scegliere ciò che sarebbe veramente meglio per te. Solo… sei davvero sicuro?», lo guardò negli occhi con un velo di paura nei propri.

Lui le sorrise solare. «Mai stato più sicuro di così».



Aveva perso la cognizione del tempo, stando ad osservare Bill dormire, steso sul letto, con la bocca dischiusa e un ciuffo di capelli neri che gli accarezzava la guancia. Sorrise e glielo spostò teneramente, poi si alzò dal letto e gettò uno sguardo alla sveglia poggiata sul comodino: era davvero tardi, doveva tornare se non voleva che Adam si insospettisse.

Sul tavolo nel salottino trovò un quotidiano, strappò la pagina di una pubblicità e ci scrisse frettolosamente:

Quando mi renderò conto di star facendo il più grande errore della mia vita sarà troppo tardi. Per ora è solo il più bello e lo rifarei.
Ci vediamo domani, Bill.
Ti amo,

Alisha


Lasciò il bigliettino nella parte di letto che aveva occupato lei fino a poco prima, si chinò sul ragazzo e gli sfiorò delicatamente la guancia con le labbra, quando una fitta improvvisa allo stomaco le fece fare un salto di quasi un metro. Doveva anche sfamarsi.

Con un sospiro affranto lasciò la camera d’hotel, raggiunse la hall e diede un’occhiata ai tavoli in cui qualche ora prima aveva scorto Tom, senza trovarlo. Giustamente, anche lui aveva funzioni fisiologiche fondamentali come quella di chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare nel mondo dei sogni.

Uscì nel freddo della sera – che lei comunque non sentiva – e il suo istinto da predatrice prese il sopravvento, infatti ci mise poco a scovare, in un vicolo poco lontano dall’albergo a cinque stelle, un pusher che aveva appena venduto una modesta dose di coca ad un ragazzo dai tratti asiatici. Nella frenesia della sete riuscì a malapena a ragionare e si disse che era perfetto.

Aspettò che il ragazzo si allontanasse e ascoltò il pusher contare le banconote l’una dopo l’altra, velocemente. Fu allora che uscì allo scoperto e camminò sinuosamente verso di lui, con un sorriso malizioso sulle labbra.
Il pusher si accorse della sua presenza solo quando fu a pochi passi da lui e ricambiò il sorriso, intascando i contanti appena guadagnati.

«Che ci fa una bella ragazza come te da sola da queste parti e a quest’ora di notte? La mamma non te l’ha detto che è pericoloso?», le disse.

Alisha non rispose, avanzò fino a quando non si trovò ad un soffio dal suo viso. Allora gli sussurrò: «E a te, la mamma non te l’ha detto?».

Senza dargli il tempo di capire ciò che stesse succedendo lo colpì alla nuca, facendogli perdere i sensi, e nel momento in cui tirò indietro la testa le spuntarono i canini, che le sfiorarono il labbro inferiore. Li affondò nel collo del pusher e succhiò con avidità fino a quando non le rimasero fra le braccia solo i suoi vestiti e un po’ di polvere, che si scrollò di dosso dopo aver gettato gli abiti in un cassonetto poco distante.

Si voltò e ripercorse il vicolo al contrario, quando alla luce della luna le sfuggì dalle labbra un singhiozzo asciutto.

______________


La canzone che ho usato è No air, Jordin Sparks & Chris Brown.
Enjoy :*WWW*:
 
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;heilig
view post Posted on 8/12/2010, 20:41




bello bello bello *O*
ovviamente tutti i miei commenti Van li ha eliminati con la sua astuzia, ma vabbè xD
mi rifarò!!
 
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_Pulse_
view post Posted on 8/12/2010, 21:23




Povera Van xD
Grazie *www*
 
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;heilig
view post Posted on 9/12/2010, 00:07




ahahahah a breve credo che posterò la mia ff image
ma sono ancora indecisa!
 
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_Pulse_
view post Posted on 9/12/2010, 21:30




Dai, perchè no?
Postalaaaaaa *____*
 
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;heilig
view post Posted on 9/12/2010, 21:39




finisco qualche ritocco e decido (:
 
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_Pulse_
view post Posted on 10/12/2010, 18:25




Capitolo 6
Before you’re old, you are young



«Guarda, sei un idiota! Ma cosa ti è passato per la testa, posso saperlo?!».
Era mezz’ora che David urlava e strepitava di fronte ad un Bill del tutto disinteressato a ciò che gli stava dicendo.

Il manager gli sbattè il giornale davanti al naso ed indicò la serie di foto che l’avevano immortalato, sotto la pioggia, mentre abbracciava e baciava quella ragazza dai capelli biondi.
«Adesso sai cosa succederà, vero?! La stampa ti assillerà ad ogni intervista per sapere chi è, se è la tua ragazza e tutte le cazzate varie. Ed io sarò ossessionato il doppio, visto che tutti vorranno avere un’intervista con voi! Ti sei appena condannato a tempi molto duri, molto duri mio caro Bill», gli puntò il dito contro, furioso.

«Finito?», gli chiese il frontman, annoiato, guardandosi le unghie.

«Sì!».

«Oh, menomale», biascicò.
Prese il giornale dal tavolo e se lo infilò in borsa, poi raggiunse gli altri che erano già nell’auto che finalmente li avrebbero riportati in hotel.
Si mise seduto accanto al fratello e, una volta chiusa la portiera, sospirò, chiudendo gli occhi.

«Tutto bene?», gli chiese premuroso Gustav, corrugando la fronte.

«Che voleva David?», chiese a sua volta Georg.

Bill tirò fuori il giornale dalla borsa e glielo sbattè sulle gambe. «Mi ha fatto una ramanzina epica, come se non sapessi che ora la stampa mi starà addosso più del normale e dovrò stare attento a fare qualsiasi cosa con Alisha».

Il batterista ed il bassista rimasero diversi secondi a guardare le foto e a leggere il piccolissimo articolo ad esse accompagnato. Avevano lasciato più spazio alle immagini, in quanto non avevano poi molto da dire… ma sicuramente i mass media si sarebbero rifatti appena avrebbero avuto la possibilità di parlare con il diretto interessato.

«Io te l’avevo detto che non dovevi uscire», sbuffò Tom, dopo aver guardato anche lui. «Sei stato completamente… sconsiderato. David ha ragione».

Bill lo trucidò con lo sguardo e gli strappò il giornale dalle mani, portandoselo di fronte al viso per osservare per l’ennesima volta quelle pagine patinate.
Sapeva, quando era uscito sotto la pioggia per raggiungerla, che probabilmente sarebbe successo, ma non gli aveva dato il giusto peso: Alisha era decisamente più importante.

Tom si schiarì la voce, coprendosi la bocca con la mano. «A parte questo… Che cos’è successo ieri sera?».

Per quella domanda avrebbe fatto venti flessioni in più, quando sarebbe andato in palestra. Non poteva credere di averglielo chiesto sul serio! Ed ancora di più non poteva credere che Bill, il logorroico per definizione, non gli avesse raccontato ancora niente!
Avevano passato quasi tutta la giornata insieme, fra le prove all’arena in cui avrebbero suonato e qualche photoshoot, e quando avevano avuto la possibilità di parlare non l’avevano fatto: Bill era pensieroso, in un mondo tutto suo, e non dava a nessuno il permesso di crearsi un posticino nella sua testa, nemmeno a suo fratello gemello. Ed infatti era lì, ora, a chiedergli di raccontargli della sera precedente.

«Niente di che», rispose Bill, scrollando le spalle.

Sgranò gli occhi, incredulo. «Come… come niente di che?». Bill annuì portando lo sguardo fuori dal finestrino. «Scusami, eh, ma hai passato una serata intera con quella strafiga di Alisha e non è successo niente?!».

«Che cosa volevi che succedesse?», lo guardò con il sopracciglio inarcato.

«Sesso?», gli sillabò. «Vuoi un disegnino?».

«No, grazie, ne faccio a meno. Comunque no, non abbiamo fatto sesso. Avremmo dovuto?».

«No, figurati», sbuffò e sventolò una mano in aria, paonazzo. A volte aveva seri dubbi a riconoscere Bill come il proprio fratello gemello. «Avete giocato a scacchi, allora?».

«No, abbiamo parlato», rispose con lo stesso tono tranquillo; sembrava che niente e nessuno lo potesse turbare. Che Alisha gli avesse fatto il lavaggio del cervello?

«Parlato. Parlato», rimuginò con una mano sul mento. «Oh, ora ho capito che cosa intendi», annuì con la testa. «E di che cosa avete parlato?».

«Di un po’ di cose».

«Ossia?».

Okay, Tom lo stava mettendo in difficoltà. Non avrebbe mai immaginato di trovarsi in quella situazione, ma doveva ammettere che gli stava dando del filo da torcere. Perché quando doveva fargli domande non gliele faceva e quando non doveva fargliene lo sottoponeva ad un interrogatorio?!
In realtà Bill non vedeva l’ora di parlarne con lui: era così eccitato all’idea di stare con Alisha, di averla finalmente convinta a lasciarsi trasportare da ciò che sentiva, senza preoccuparsi eccessivamente delle proprie paure. Ma c’era un piccolo particolare di cui tener conto: la diversa natura di Alisha. Le aveva chiesto se poteva dirlo a suo fratello o ai suoi amici, ma lei aveva risposto che sarebbe stato meglio se ancora per un po’ fosse rimasto un segreto, immaginando la reazione dei tre e soprattutto quella di Tom. In effetti, anche Bill aveva riflettuto sulla questione e aveva concluso che più tardi l’avrebbe scoperto, più tempo aveva Alisha per cercare di non farsi odiare del tutto, anche se sarebbe stata dura far cambiare opinione a quella testa dura di Tom.
Però, dall’altra parte, sperava ardentemente che lo scoprisse presto perché non ne poteva davvero più di mentirgli e di fare finta di niente. Non aveva mai avuto un segreto che lui non conoscesse ed era strano e difficile ignorarlo e rispondergli così, ma era l’unico modo che conosceva per non cedere alla tentazione di dirgli tutto.

Tom, spazientito da quel silenzio, gli chiese: «Bill, che cosa mi stai nascondendo?».

«Niente! Perché dovrei nasconderti qualcosa? Non mi sento molto bene, tutto qui».

Il chitarrista capì subito che stava mentendo, ma non insistette. Se quello era il suo comportamento, lui avrebbe reagito di conseguenza. Si mise con le braccia incrociate al petto e il viso corrucciato, da perfetto imbronciato. Avrebbe fatto l’offeso fino a quando non gli avrebbe spiegato il motivo di tutti quei segreti. Loro non ne avevano mai avuti! Era vero che le donne portavano solo un sacco di guai.

L’auto si fermò di fronte all’hotel e vennero accolti dal solito gruppetto di fans. Tom stiracchiò un sorriso e Bill sbuffò vedendolo così: non voleva che fosse arrabbiato con lui, ma non poteva nemmeno tradire la fiducia di Alisha…

Entrarono nella hall e Bill venne subito richiamato da una voce proveniente dalla sua destra: seduta ad uno dei tavolini della sala c’era Alisha, che lo raggiunse a passo spedito e se lo trascinò dietro fino all’ascensore, nel quale entrarono giusto in tempo.
La ragazza fremeva al suo fianco, tanto che l’ascensore vibrava in modo quasi impercettibile sotto i suoi saltelli microscopici, e gli teneva forte la mano nella sua, raffreddandola.
Bill cercò di non prendere parte al suo nervosismo e si distrasse osservando il suo abbigliamento: indossava una maglietta verde a maniche corte, un paio di jeans blu chiari che le arrivavano al ginocchio e ai piedi delle All Star Converse dello stesso colore della maglietta. Come al solito, era bellissima.
Sollevò lo sguardo sul suo viso e si accorse che le ombre violacee erano scomparse, ciò voleva dire che… Pensò immediatamente ad altro, così da non insospettirla con qualche cambiamento improvviso.

La coppia che aveva viaggiato con loro fino a quel momento scese al terzo piano e quando le porte si richiusero, Alisha si avventò su di lui, gettandogli le braccia intorno al collo ed incollando la bocca sulla sua, sulla quale si mosse famelica, fino a quando quella specie di frenesia si placò ed ogni gesto divenne dolce e delicato.
Bill si staccò con forza dalle sue labbra e prese fiato, il viso ancora rosso per la mancanza d’ossigeno.

«Scusami!», si affrettò a dire Alisha, portandosi una mano alla bocca e facendogli aria con l’altra. «Mi ero dimenticata…».

«Che ho bisogno di respirare?», concluse la frase per lei, divertito.

«Sì», ridacchiò imbarazzata. «Mi dispiace».

«Non importa, è stato… bello. Decisamente».

«Mi fa piacere», sussurrò maliziosa, appoggiandosi a lui con l’intero corpo, accarezzandogli il petto con le mani. «Mi sei mancato tantissimo e non penso di riuscire ad andare avanti così per molto: io non so mentire, Adam non è stupido, se non ha già capito che io e te ci vediamo lo scoprirà presto e quando accadrà…», rabbrividì, «non voglio nemmeno pensarci».

«Perché non lo lasci e scappi via con me?», le chiese, gli occhi brillanti di fronte ad un futuro splendente. O quasi.

«Non è così semplice, Bill…», si mordicchiò il labbro, abbassando lo sguardo sui propri piedi.

«A me sembra alquanto semplice», borbottò.

Alisha sorrise amara. «Forse è arrivato il momento di raccontarti un po’ di cose su di me e su Adam. Che ne dici?».

Aveva accarezzato l’idea di conoscere il suo passato diverse volte, ma non aveva mai avuto il coraggio di chiederglielo espressamente, non dopo l’ultima volta, in cui aveva chiesto quando si erano conosciuti lei ed Adam e il risultato era stato… beh, disastroso.

Le porte dell’ascensore si aprirono e Alisha gli sorrise, lo prese per mano e lo trascinò dolcemente nel corridoio, dove lo abbracciò per la vita. Raggiunsero la stanza di Bill e vi entrarono. La ragazza andò subito a stendersi sul letto alto e dalle lenzuola chiare, batté due colpi al suo fianco, indicando al cantante di raggiungerla, e lui eseguì, sistemandosi con la testa sulla sua spalla, come faceva con la sua mamma quando alla sera si metteva in mezzo a lui e a suo fratello Tom per leggergli la favola della buonanotte.

Alisha chiuse gli occhi per riordinare le idee e poi iniziò a raccontare la sua storia, con voce calma e rilassata, partendo da una domanda: «Bill, secondo te quanti anni ho?».

«Ahm… una ventina…».

«Ventitré, per la precisione. Ma, come avrai capito, è da un po’ che ho questa età…».

Bill deglutì. «Da quanto?».

«Sono nata nel 1894, a Monaco. La mia era una normale famiglia tedesca, mio padre lavorava come operaio e mia madre stava a casa con i miei due fratelli più piccoli e me.
Mio padre morì per un incidente sul lavoro e per questo motivo ci trovammo in difficoltà economiche, tanto da spingere mia madre a lavorare come sarta su commissione. Io l’aiutavo come potevo, ma c’erano anche i miei fratelli a cui badare…
A diciannove anni ho incontrato Friedrich, ci siamo innamorati e ci saremmo dovuti sposare, se non fosse iniziata quella maledetta guerra…». Strinse i pugni sulle gambe, socchiudendo gli occhi, ma riprese quasi subito: «Lui era un soldato e quando l’hanno chiamato non ha potuto rifiutare, ci siamo separati e lui morì in trincea.
Ora ti starai chiedendo quando mi sono trasformata in questa cosa non-morta», ridacchiò. «Beh, è successo qualche anno dopo, nell’inverno del 1917. Io, mia madre e i miei fratelli fuggimmo dalla città perché c’era il pericolo che fosse bombardata e ci rifugiammo da amici. Quella sera non riuscivo a dormire, così sono uscita per prendere una boccata d’aria e… mi sono imbattuta in una creatura tanto affascinante quanto pericolosa; l’istinto mi diceva di andare via, leggevo nei suoi occhi che non aveva buone intenzioni, ma non riuscivo a fare niente, ero come pietrificata sul posto, ipnotizzata… Ha deciso di trasformarmi e perciò di non uccidermi definitivamente, perché mi disse – me lo ricordo come se fosse ieri – che somigliavo alla sua fidanzata defunta.
Ovviamente non potevo restare a casa, ero instabile e per me niente era più importante della sete, non volevo fare del male alla mia famiglia… così sono scappata. Ho passato il mio primo anno di vita da immortale passando da una regione all’altra, sfamandomi delle persone che ritenevo cattive. Sai, quando ho scoperto che l’unico modo che avevo per sopravvivere era bere sangue umano mi sono sentita uno scherzo della natura, mi odiavo… ho provato a non mangiare, stavo rischiando di diventare pazza, ma alla fine ho ceduto».

Era sconfortata e nei suoi occhi si leggeva tutta la tristezza di quei giorni. Bill riusciva a malapena a respirare, talmente il racconto lo coinvolgeva e lo impressionava, mentre tentava di mettersi nei panni di Alisha.

«Fu allora che incontrai Adam. Lui è nato nel 1884, a New York; la sua era una famiglia nobile, per questo non aveva bisogno di lavorare e si dilettava a fare il pittore. È stato trasformato nel 1909, all’età di venticinque anni, da una come noi che lo voleva come compagno. Lui però si ribellò e fuggì, facendo perdere le proprie tracce.
Arrivò in Germania quando io avevo appena un anno di vita e ci siamo conosciuti per caso… lui mi ha trovata in un vicolo, ero in fin di vita perché non volevo nutrirmi ed in poco tempo mi ha convinta a non odiarmi, a vedere i lati positivi della mia nuova vita… (Lui è sempre stato contento della sua natura). Da quel giorno non ci siamo più lasciati.
Siamo diventati una coppia con il tempo, fu quasi naturale, ma lui mi ha rivelato che si era subito innamorato di me, che in me aveva visto la parte mancante di sé. Io ero spaventata e molto confusa, allora lui era l’unico che conoscessi della nostra specie, l’unico che avessi al mondo… in qualche modo dovevo ricambiare per tutto ciò che aveva fatto per me e quindi ho accettato di stare con lui.
Quando è iniziata la Seconda Guerra Mondiale ce ne siamo andati dalla Germania e ci siamo trasferiti qui in America. Abbiamo vissuto per un po’ di tempo nella residenza della sua famiglia, che aveva ereditato, poi siamo stati costretti ad andarcene per far sì che le persone del luogo non iniziassero a farsi delle domande del tipo come mai non invecchiavamo, e da allora abbiamo vissuto un po’ di qui e un po’ di lì, soprattutto negli hotel perché non aveva senso comprare casa se alla fine ce ne saremmo dovuti andare comunque».
Fece un respiro profondo e riaprì gli occhi per guardare quelli di Bill, al quale accennò un sorriso. «Ora capisci perché non è così semplice? Perché non posso lasciarlo con così tanta leggerezza? Siamo stati insieme più di vita, è l’unico in cui io abbia trovato un punto di riferimento stabile, io gli devo tutto…».

«Tu lo ami, Alisha?», le chiese a bassa voce, gli occhi velati dalle lacrime.

«Io… io credevo di amarlo, fino a quando non ho incontrato te», gli rispose accarezzandogli una guancia porpora, assaporandone il calore sotto le dita. «Adam non mi permetterà mai di lasciarlo, tantomeno permetterà a te di portarmi via da lui».

«Questa è una tua scelta, Alisha, non sta a lui decidere con chi vuoi stare tu!».

«Lo so, Bill», gli prese la mano e ne baciò il dorso, con delicatezza, poi lo guardò negli occhi. «Ma questo non cambia nulla: Adam è talmente innamorato di me da uccidere chiunque cerchi di allontanarmi da lui. Tu sei in pericolo con me».

«Non ho paura di Adam. Non più della paura che ho di perderti».
Alisha sollevò lo sguardo sul suo viso e vide nei suoi occhi ardenti determinazione pura: niente e nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea.
«E poi, credo che Adam, se non l’ha davvero già capito che ci vediamo, lo capirà a breve». Tirò fuori dalla borsa il famoso giornale e glielo mostrò, sorridendo.

Alisha sgranò gli occhi vedendosi immortalata su quelle pagine. Scambiò uno sguardo con Bill ed accennò un sorriso divertito. «Beh… siamo venuti bene, no?».

«Lo penso anch’io. Siamo entrambi fotogenici!», rise, poi tornò serio. «Da questo momento devi fare ancora più attenzione: sarebbe un bel casino se un paparazzo ti fotografasse mentre sei intenta a nutrirti».

Fu Alisha a ridere, quella volta. «Non ti preoccupare, ho le mie doti segrete».

Si abbracciarono, incastrando perfettamente i loro corpi e sentendosi al posto giusto al momento giusto. Si guardarono in viso, occhi negli occhi; le loro labbra si sfiorarono.

«Ti amo», sussurrò Bill.

Alisha sorrise, addolcita. «Anche io».

Lui le accarezzò la guancia e la strinse a sé, baciandola sulle labbra.


{If fear's what makes us decide our future journey,
I'm not along for a life, 'cause I'm still yearning
to try and touch the sky, my fingers burning
Before you're old, you are young
Yeah, I'm still learning }

[Se la paura è ciò che ci fa decidere il nostro viaggio futuro,
non sono in favore della vita, perché sto ancora desiderando ardentemente
di provare e toccare il cielo, le mie dita stanno bruciando
Prima di essere vecchio, sei giovane
Sì, sto ancora imparando]



Aveva passato tutta la giornata non desiderando altro che il tempo sull’orologio scorresse. Era impaziente di vedere Bill e non sapeva se fosse un bene o un male. Sapeva solo che ormai stare senza la sua compagnia era una tortura vera e propria, simile ad aver fame e non potersi sfamare.
Quando finalmente era riuscita ad andarsene dalla suite, dicendo ad Adam che andava a fare una passeggiata mentre lui finiva uno dei suoi quadri, era corsa al Four Seasons e si era messa ad aspettarlo trepidante. E quando l’aveva visto si era sentita così felice e confortata da farle sembrare che il suo cuore avesse ripreso a batterle nel petto.
Ora, dopo aver scoperto di essere già sulla bocca delle fan come la “ragazza che ha baciato Bill” e, soprattutto, avergli raccontato tutta la sua vita, si sentiva sollevata e con un peso in meno sullo stomaco, anche se quella sensazione durò pochi attimi, sopraffatta da altri mille pensieri che le vorticavano nella testa, tra cui immagini del suo passato e possibili immagini di quello che sarebbe stato il suo futuro se avesse deciso di partire con lui.
Innanzitutto, si chiedeva come avrebbe fatto ad andarsene senza far insospettire Adam. Non era stupido e pure un cieco si sarebbe accorto che c’era qualcosa che non andava nelle sue continue fughe, che non usciva solo per sfamarsi. E poi, se nel caso fosse riuscita a partire, Adam non le avrebbe permesso di andare lontano, era certa che avrebbe dato la caccia a lei e a Bill, soprattutto, fino a quando tutto non sarebbe tornato alla normalità. Con uno come lui alle calcagna sarebbero stati sempre in pericolo, avrebbero dovuto vivere da fuggiaschi e ad Alisha veniva l’angoscia al solo pensiero di Bill ed i suoi compagni di band in pericolo per colpa sua.
Non voleva che accadesse, ma d’altronde non poteva impedirsi di stare lontana da lui, sarebbe stato meglio morire. Accanto a lui si sentiva di nuovo viva, viveva dei battiti del suo cuore, della sua fragilità, sentiva di dare un senso alla propria vita eterna dopo tanto tempo.
Lo amava.


*




Erano seduti nella sala immediatamente adiacente alla hall, ad un tavolino accanto alle grandi porte finestre che davano sulla strada. Aveva ricominciato a piovere.

Tom sbuffò per l’ennesima volta e Gustav lo guardò di sottecchi, sollevando lo sguardo dallo schermo del pc di fronte a lui, spazientito. Lo odiava con ogni fibra del suo corpo quando, come Bill, faceva l’eterno scontento.

«Qual è il tuo problema, Tom?», gli chiese.

«Il mio problema è la ragazza che se la spassa tranquillamente con mio fratello e che a me non piace perché troppo misteriosa».

«Oh, capisco».

Scosse la testa e tornò al suo pc. Aprì la pagina di Internet e notò che sulla sezione dei siti visitati di recente c’erano diverse schede di motori di ricerca e diversi forum che trattavano di un unico argomento. Corrugò la fronte e si rese conto che l’ultimo ad aver usato il suo portatile era stato… Bill.
Sgranò gli occhi e toccò il braccio al chitarrista, preoccupato. «Ehm… Tom?».

«Che cosa vuoi?», bofonchiò.

«Penso… penso che tu debba dare un’occhiata qui».


Girò il pc verso di lui e l’ex rasta rischiò di strozzarsi con la bibita che stava sorseggiando. Dopodiché si impossessò del portatile e lesse con avidità tutto ciò che gli capitava sotto gli occhi, senza perdersi nemmeno una virgola.
Mano a mano che proseguiva nella lettura sentiva i brividi percorrergli la spina dorsale e del sudore freddo sulla fronte.
Tutto coincideva perfettamente: il fatto che nessuno li avesse mai visti mangiare, la loro perfezione fisica, la loro pelle diafana e sempre e costantemente fredda…

«Tu credi che Alisha e Adam…», balbettò Gustav, in ansia, quando Tom si voltò ed incrociò lo sguardo della bionda che scendeva le scale con un sorriso beato sul viso.

«Lo scoprirò presto», gli rispose o forse solo lo pensò; era troppo preoccupato per Bill per dargli importanza.

Salutò distrattamente la ragazza che usciva dalla porta girevole dell’hotel, sforzandosi di sorriderle, poi schizzò di sopra prendendo l’ascensore – che insultò pure per la sua scarsa velocità – fino ad arrivare con il fiatone alla porta del gemello, sulla quale bussò freneticamente.

«Bill! Bill, aprimi questa cazzo di porta!», gridò, ma non ricevette alcuna risposta.

L’immagine di Bill steso sul letto, in un lago di sangue, si impadronì della sua mente e non ci pensò due volte prima di lanciarsi contro la porta con una spalla. Peccato che, proprio in quel momento, il cantante l’aprì e Tom caracollò all’interno, cadendo di faccia sul piccolo divanetto alla parete.

«Tom, ti sei fatto male?», gli chiese raggiungendolo.

«No! No, non mi sono fatto niente! Piuttosto tu, come stai? È tutto a posto? Ti ha fatto del male?». Lo guardò da capo a piedi, stringendogli convulsamente la braccia.

«Cosa? Io sto benissimo, tu piuttosto non mi sembra che –».

Tom lo abbracciò d’impeto, stringendolo forte a sé.
«Menomale, menomale, sono così contento», farfugliò.

«Tom? Mi vuoi spiegare che cosa diavolo ti prende?!».

Il chitarrista si staccò bruscamente dal gemello e lo guardò negli occhi assottigliando i propri, in preda ad una crisi isterica. «A me che cosa diavolo mi prende? A me?! Sei tu quello che se la fa con una vampira!».

«Oh, finalmente l’hai capito!», esultò con gli occhi brillanti, saltellando sul posto in preda alla contentezza.

Tom, sconvolto, mormorò: «Finalmente l’ho capito. Uh».

____________


La canzone che ho usato in questo capitolo e da cui ho tratto anche il titolo è Falling down, della mitica Avril Lavigne!
Hope you like it (;
 
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;heilig
view post Posted on 10/12/2010, 23:50




Wow **
CITAZIONE
Tom, sconvolto, mormorò: «Finalmente l’ho capito. Uh».

ahahahah dio santo, mi immagino la faccia di questo Tom super-deficiente xD
 
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_Pulse_
view post Posted on 11/12/2010, 13:50




Ma Tom E' super-deficiente XDDD
Grazie *ww*
 
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;heilig
view post Posted on 11/12/2010, 13:56




Sicuro, ma in questa ff lo si nota particolarmente xD
Non perde mai l'occasione per far capire che gli manca la materia grigia.
 
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_Pulse_
view post Posted on 11/12/2010, 14:06




Io faccio uscire il vero Tom che è in lui, quello ancora più stupido di quello che noi vediamo u.u XD
 
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;heilig
view post Posted on 11/12/2010, 14:11




ahahahah povera stella, mamma mia ç_ç
proprio crudeli siamo... lo stiamo massacrando di complimenti xD
 
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64 replies since 2/12/2010, 21:29   456 views
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