Titolo: Heart's Blood
Autore: _Pulse_
Genere: Romantico, sovrannaturale
Cap:
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16Capitolo 1
Eyes«Mi sono stancata, sai?».
«Di che cosa?».
«Che ne so, di tutto. Di questa vita…».
«Perché?».
«A volte mi chiedo che senso abbia, tutto questo».
«Ci deve essere
per forza un senso?».
«Per me sì. Non voglio fare le cose campate per aria».
«La vita non è un programma, non la puoi pianificare, e a volte le cose non hanno sempre un senso».
«Come sei saggio, stanotte». Posò lo sguardo nel suo, ridente, e sorrise in quel modo dolce e tenero, come in pochi di loro sapevano fare, tanto da sembrare completamente
umano. Nei suoi occhi cobalto, però, si poteva benissimo vedere la malinconia di quei giorni che ormai appartenevano ad un lontano e sfuocato passato. «Vorrei almeno trovare un senso a… perché a noi? Perché proprio
me e te?».
«Vuoi continuare a porti questa domanda per molto tempo?».
«Perché no. Tanto ne ho fin troppo!».
Risero e saltarono giù dal parapetto della terrazza. Sulla città illuminata nel buio della notte.
*
«Sono sfinito!», piagnucolò Bill sprofondando sul sedile di morbida pelle nera, nell’auto che li avrebbe finalmente riportati in hotel.
Le signing sessions erano una delle cose che lo stancavano di più al mondo, nonostante sembrasse semplice. La sua povera mano implorava pietà.
«Questa sera c’è pure quella festa là… Non mi ricordo nemmeno più di chi!». Se avessero continuato così, avrebbe sicuramente avuto una crisi di nervi.
«È organizzata dalla Disquared», gli ricordò Gustav in modo pacato.
«Io non vedo l’ora!», esultò Tom battendo le mani sulle gambe. «Ci saranno un sacco di modelle e… ah, non ci posso pensare. Sarà il Paradiso», sospirò con gli occhi brillanti, accasciandosi sul sedile accanto a quello di suo fratello.
«Invece no, sarà la solita serata noiosa a far niente», sbuffò il cantante, incrociando le braccia al petto.
«Per forza, tu non sai divertirti!», lo rimbeccò il fratello ed iniziarono così a litigare.
Georg e Gustav non avevano nemmeno considerato l’idea di provare a farli smettere, sapevano che avrebbero rischiato la sanità mentale, così pensarono ai fatti loro con le grida dei gemelli in sottofondo, un sottofondo quasi abituale nel loro gruppo, fino a quando l’auto non si fermò di fronte all’entrata dell’hotel, assediata da un piccolo gruppo di fan che però gridavano come delle pazze. Bill e Tom si ammutolirono all’istante e sospirarono all’unisono, concordando tacitamente una tregua.
Scesero tutti e quattro dall’auto e vennero subito sommersi dai flash delle macchine fotografiche, oltre che assordati dalle grida che esplosero in un boato quando il piede di Tom toccò il suolo. Sorrisero e firmarono qualche autografo, poi entrarono nella hall dell’hotel e ad attenderli vi trovarono Dunja e Benjamin, i quali sorrisero in un modo che li fece avanzare sconfortati. Anche il giorno seguente sarebbe stato pieno d’impegni, tanto da non riuscire a farli respirare.
*
«Quando ti ho detto che stava a te la scelta, questa notte, non intendevo che potevi scegliere una tortura per la sottoscritta».
«Tecnicamente parlando, non possiamo essere sottoposti a torture vere e proprie», sussurrò in un modo impercettibile alle orecchie umane, tanto che lo sentì solo lei.
Mostrò il pass a uno dei due grandi bodyguard piazzati all’entrata del locale in cui era stata organizzata la festa, sorridendo amabilmente, e, avuto il permesso d’entrare, li sorpassò trascinandosi dietro la compagna, tutt’altro che entusiasta.
«
Tecnicamente parlando, sai che queste cose per me sono una tortura mentale», gli schioccò un’occhiataccia; lui sghignazzò.
«Dean e Dan sono due vecchi amici», sollevò le spalle, senza perdere quel sorriso birichino. «Ho solo approfittato del fatto che tu stasera eri accomodante».
«Se avessi saputo prima qual era il tuo diabolico piano mi sarei opposta, altro che accomodante!», sbuffò e si portò le braccia al petto, come una bambina. «Quelli sono amici
tuoi, non
miei.
Tu hai fatto il modello per loro, una volta, non
io. Perché mi hai portato? A questo punto avrei preferito starmene chiusa in hotel!».
Rise e le avvolse un braccio intorno alle spalle candide, lasciate scoperte quasi del tutto dalle spalline fini del vestito verde acqua che indossava, che, oltretutto, metteva in bella mostra il decolté con una spaccatura che quasi le arrivava all’ombelico.
«Non dire scemenze», le posò un bacio sulla tempia. «Vuoi sapere perché ti ho portato con me? Perché non mi sarei divertito, se tu non ci fossi stata. Ormai non so vivere, senza te».
Si guardarono negli occhi e si sorrisero, poi si immersero fra la folla scatenata in pista per raggiungere l’altro lato del locale, adibito alle salette private, quelle per le celebrità.
«E poi non ho mai capito perché li odi così tanto», rimuginò lui, guardando il soffitto sovrappensiero.
«Hanno una vocina così irritante…», gli rispose e rabbrividì, quando proprio quelle due vocine irritanti filtrarono i suoi timpani facendole chiudere gli occhi.
«Adam! E ci sei anche tu, Alisha! Non siete cambiati per niente!».
«Che piacere rivedervi!», rispose lei, fingendo di essere contenta ed aprendo le braccia.
«Il piacere è tutto nostro!», gridò un ragazzo la cui voce non aveva mai sentito. Si voltò lentamente verso di lui e lo guardò attentamente.
«Che sorpresa… i Tokio Hotel», le sussurrò Adam all’orecchio, dandole una gomitata fra le costole.
«Oh», inclinò la testa di lato, vagamente sorpresa ed incuriosita.
Li osservò uno per uno: il batterista con gli occhiali, seduto in un angolo del divanetto, le braccia conserte e lo sguardo puntato su di lei; il bassista dai capelli lunghi e piastrati, gli occhi che scorrevano su e giù su di lei; il ragazzo che aveva parlato poco prima, il chitarrista se non ricordava male, che le stava facendo una radiografia completa leccandosi il piercing sul labbro inferiore; e infine il cantante dai capelli neri come la pece, in una cresta medio-alta sulla testa. I suoi occhi, però, i suoi grandi occhi nocciola, erano fissi nei suoi.
Lui fu quello che la colpì di più, perché oltre ad essere ovviamente un bel ragazzo, la guardava negli occhi ed erano in pochi quelli che, vedendola, si concentravano sul suo viso.
Dan si schiarì la voce e interruppe l’incantesimo che aveva intrecciato i loro sguardi. «Adam, Alisha, penso che voi conosciate i Tokio Hotel, no? Vi presento Bill, Tom, Georg e Gustav. Ragazzi, loro sono Adam e Alisha, due nostri amici di vecchia data».
«Piacere di conoscervi», disse in tono garbato Adam, sorridendo come solo lui sapeva fare: sarebbe stato in grado di stendere tutti, senza distinzione di sesso, con quel sorriso.
«Vi fermate a bere qualcosa con noi, magari poi a fare quattro salti in pista e poi magari…», iniziò Tom con uno sguardo malizioso. Parlava al plurale, ma
pensava al singolare, in quanto il suo unico pensiero ora era quella dea dalla pelle diafana, gli occhi blu, i capelli corti e biondi e ogni curva al posto giusto – la perfezione fatta a persona, a donna – di fronte ai suoi occhi.
«Tom», ridacchiò con un sorriso di compassione Dean, posandogli una mano sulla spalla come se fosse suo figlio e gli avesse appena fatto fare una figuraccia. «Loro sono molto impegnati, sono passati solo per un saluto…». Si chinò al suo orecchio con nonchalance, ma sia Adam che Alisha sentirono ciò che gli sussurrò, facendo finta di niente: «Lei è
fidanzata!».
Il ragazzo scrollò le spalle e sorrise sghembo. «Io chiedevo soltanto!», guardò Adam, che gli sorrise con la solita gentilezza. Una gentilezza d’altra epoca, che un po’ affascinava, un po’ faceva mettere sulla difensiva.
«Credo proprio che invece accetteremo l’invito, vero tesoro? Tanto non abbiamo niente da fare questa sera». La guardò e le sorrise; lei ricambiò tanto dolcemente da brillare più di tutte le luci soffuse che illuminavano la pista da ballo.
«Sì, perché no?».
Tom si accese di vitalità e si alzò in piedi, aprendo le braccia: «Allora scateniamoci!».
Adam e Alisha si avviarono verso la pista da ballo, gremita di gente, ed iniziarono a muoversi in sincronia – una sincronia perfetta – a ritmo di musica.
«Sono fatti l’uno per l’altra, quei due», soffiò Dan, incantato, e il gemello aggiunse: «Le persone più affascinanti che abbia mai visto nella mia carriera di stilista».
«Lei è una figa pazzesca!», gridò Tom estasiato e Bill, lo sguardo che silenziosamente non si era mai distolto da Alisha, parve di vedere un sorriso divertito sulle sue labbra piene e bellissime, come se lo avesse sentito.
La ragazza si voltò verso di lui e gli tolse il respiro con un sorriso, seppure fosse appena accennato: aveva davvero qualcosa di divino, di angelico, tanto che la testa iniziò a girarli impercettibilmente, come se fosse stato stordito da quell’assurda armonia.
«Io mi butto, non resisto!», avvertì un Tom fremente, prima di lanciarsi in mezzo alla folla in direzione dei due. Nessuno riuscì a fermarlo.
Bill rimase a bocca aperta, sentendosi in qualche modo… ferito.
Adam sorrise sghembo e avvicinò la bocca all’orecchio della bionda, muovendosi con lei: «Sta arrivando il chitarrista, sarai contenta…».
«Mi piace essere desiderata», disse con innocenza, gli occhi chiusi.
«Ma tu sei solo mia», sussurrò Adam avvolgendole la vita con le braccia. «Per l’eternità».
A quella parola il viso di Alisha si adombrò, i suoi occhi si spensero, ma fu solo un attimo perché Tom ormai era al loro cospetto e con lo sguardo chiedeva ad Adam di lasciarlo ballare con lei. Il ragazzo sorrise e gli lasciò il posto molto cortesemente, tanto che il chitarrista ne rimase sorpreso per un istante, ma poi ne approfittò vistosamente ballandole fin troppo vicino per essersi conosciuti solo cinque minuti prima.
Alisha rise ai palesi tentativi di conquista di Tom e si portò i capelli all’indietro. Il ragazzo la guardò stranito.
«Perché ridi?», le chiese all’orecchio, per non dover urlare sopra la musica.
Quando la ragazza sentì il suo profumo, il profumo del suo collo, così vicino, socchiuse gli occhi ed esalò un sospiro. Si sporse così tanto su di lui da sfiorargli il petto con il proprio, provocandogli più di un brivido, e gli rispose: «Stavo solo pensando. Posso sapere quanti anni hai?».
«Ventuno». Deglutì per controllarsi: era troppo vicina, troppo sexy e aveva un profumo troppo irresistibile; la voleva, la voleva più di qualsiasi altra cosa. «Cioè, devo farne ventidue… Perché me lo chiedi?».
«Ah!», trattenne un’altra risata e si scostò per guardarlo negli occhi. «Fisicamente te ne avrei dati di più… mentalmente di meno».
Era così ammaliato dalla sua figura che ci mise qualche secondo per capire l’offesa gratuita appena rivoltagli. Avrebbe voluto ribattere, ma cosa poteva dire ad una così? L’unica cosa che gli venne in mente fu: «Perché, tu quanti ne hai?».
«Non si chiede l’età alle signore», gli disse e gli pizzicò il naso come si fa ai bambini, prima di lasciarlo lì con un palmo di naso e tornare da Adam e gli altri, con passo sinuoso e sicuro.
Bill sgranò gli occhi quando vide suo fratello ballare con Alisha, con sicurezza e un po’ di spavalderia, mentre lui era lì a bollire d’invidia. Forse era vero quando diceva che lui non sapeva divertirsi.
In preda allo sconforto, si girò verso Adam, seduto fra Dean e Dan, con i quali chiacchierava amabilmente. Nonostante volesse fargli una sfuriata, si trovò ad ammutolire di fronte al suo modo di parlare, alla sua gestualità… era affascinante quasi quanto la sua compagna. Aveva la carnagione pallida, i capelli neri, gli occhi verdi brillanti e un sorriso da mozzare il fiato; per non parlare della sua risata: una melodia.
Perciò la sua sfuriata divenne all’incirca una domanda incerta e balbettante: «Ma perché l’hai lasciato fare?».
Adam si voltò verso di lui e trattenne una risata, poi rispose posizionando lo sguardo sui due che ballavano vicini sussurrandosi cose all’orecchio: «Voglio assistere al momento in cui lei lo respingerà brutalmente. Può sembrare sadico, ma è più forte di me, è troppo divertente. E immagino che con Tom sarà ancora più spassoso, in quanto ho il presentimento che non sia uno che riceve rifiuti abitualmente».
«No, infatti», disse Georg e il ragazzo annuì, poi scoppiò a ridere quando vide Alisha lasciare lì Tom, sbigottito, e venirgli incontro.
«Ci hai messo poco», le disse divertito, accogliendola sulle proprie gambe. Alisha gli avvolse il collo con un braccio e ricambiò il sorriso, finta modesta.
«Sì, è stato fin troppo facile».
E ancora una volta gli sguardi di Bill e Alisha si incatenarono. Rimasero a fissarsi tanto a lungo da perdere qualsiasi espressione dal viso, immersi in specchi dentro i quali non riuscivano a vedere altro che se stessi, e dovettero costringersi a guardare da un’altra parte.
Uscirono passando dal retro, dove c’era già una macchina dai finestrini scuri ad aspettarli.
«È stata davvero una bella serata», disse Dan in nome anche del gemello. «Avete portato una ventata di freschezza, come sempre».
«Non abbiamo fatto nulla di particolare», scrollò le spalle Adam, stringendosi al petto Alisha, che sorrise e gli stampò un bacio sulle labbra.
Quel gesto così affettuoso, nonostante la sua semplicità, fece gelare il sangue nelle vene a Bill, che strinse le mani nei pugni e si diede del cretino. Come poteva essersi interessato di una ragazza così, che tra l’altro era felicemente fidanzata? E in una sera soltanto! Forse doveva prendere sul serio suo fratello, quando gli diceva che era troppo tempo che non si scopava una ragazza!
«Adesso state qui a New York?», chiese uno dei gemelli della moda ai due, distraendolo dai suoi pensieri.
Si guardarono negli occhi e Adam rispose: «Sì, siamo al Royalton».
«Oh, ancora la mania di stare negli hotel, eh?», sogghignò Dean.
«Sì», rispose quella volta Alisha, sfarfallando le ciglia. «Non ce la sentiamo di prendere casa, noi siamo spiriti liberi».
«Anche noi pernottiamo in quell’albergo», bofonchiò Tom, le braccia strette al petto e un broncio da bambino stampato sul viso a causa del comportamento di Alisha. Gli occhi di Bill brillavano.
«Tom, sei adorabile», disse la ragazza e gli punzecchiò ancora il naso con la punta del dito, poi rise e prese la mano di Adam.
«Allora ci vediamo!», salutò lui alzando la mano libera, avviandosi con la compagna.
«Voi non prendete una macchina?», chiese Gustav, la fronte corrugata. «L’hotel è ad un bel pezzo da qui!».
«Ci piace camminare!», rispose Alisha senza nemmeno voltarsi. Alzò la mano in segno di saluto e Adam la seguì, portandosi in fretta al suo fianco.
Quando furono abbastanza lontani dal gruppo, le chiese: «Allora, è stato così terribile?».
Si portò un dito sul mento, meditabonda: «Uhm… no», sorrise. «Devo dire che i gemelli mi sono piaciuti parecchio».
«Quali gemelli?».
«Oh, già», si colpì la fronte. «Ora ce ne sono quattro! I Kaulitz, ovviamente».
«Sì, sono simpatici. Anche Georg e Gustav».
«Sei contento che ti ho fatto felice?».
«Sì», soffiò e la baciò sulle labbra con più passione, poi la guardò negli occhi. «Che ne dici, andiamo a mangiare?».
Alisha annuì con la testa, con un’espressione fra il disgusto e la rassegnazione.
*
Notte, fuori dalla finestra. Un’immagine fissa, negli occhi e nella mente. I minuti che, inesorabili, scorrevano sulla sveglia sul comodino. Gli occhi spalancati di Bill, rivolti al soffitto.
«Cazzo, cazzo, cazzo», farfugliò portandosi il cuscino sul volto. «Devo smettere di pensare a lei! Devo smetterla!».
Ma ciò che non sapeva, è che non ci sarebbe proprio riuscito a smetterla. Né quella notte, né mai.
Capitolo 2
Early morning
Il pennello accarezzava delicatamente la tela, spargendo tonalità di colori tenui in maniera uniforme. Le immagini sembravano prendere vita e Adam sorrideva, dipingendo ogni dettaglio a colpo sicuro, senza nemmeno dover guardare il soggetto del proprio quadro. Tutto ciò di cui aveva bisogno era la memoria, grazie alla quale ricordava in ogni minimo dettaglio la figura che gli era entrata nella testa, indelebile, già dalla prima volta in cui l’aveva vista.
Alisha era sdraiata sul letto, sfiorata dalle lenzuola candide quanto la sua pelle nuda sotto di esse. Il sole che filtrava dalla finestra le illuminava la schiena marmorea e i capelli corti brillavano d’oro.
Sembrava proprio addormentata, immobile in quel letto disfatto, come piaceva fare a lei: nonostante non avesse bisogno di dormire, fingeva di farlo perché la faceva sentire umana.
Adam non capiva perché fosse così attaccata a ciò che non era più da anni: ora poteva avere e aveva tutto, eterna giovinezza compresa, ma lei rimaneva sempre e comunque legata al suo passato, quel passato che dopotutto non le aveva dato nulla di particolare, secondo il suo punto di vista.
Quando l’aveva incontrata, in fin di vita, sola e spaventata di sé ad appena un anno della sua nuova vita, si era subito innamorato di lei e da quel giorno non l’aveva mai lasciata, fino a quando non erano diventati una coppia vera e propria. Avevano trovato conforto l’uno nell’altro, la parte mancante del proprio essere.
Alisha sentiva nell’aria il profumo degli acquarelli di Adam, il lento movimento delle setole che scivolavano sulla tela e il gocciolare del pennello nell’acqua ogni qualvolta il compagno lo immergeva nella ciotolina. Grazie ai suoi sensi sviluppati sentiva anche il rumore delle automobili in strada ed i passi della gente che spedita camminava sui marciapiedi.
Quando aprì gli occhi vide del pulviscolo danzare nel raggio di sole che entrava dalle grandi finestre e rimbalzava sul pavimento lucido.
Si mosse lentamente e sentì le proprie ossa scricchiolare indolenzite quando si girò sul fianco: non era abituata a stare immobile per così tanto tempo, ma le piaceva pensare che avesse davvero dormito, invece di aspettare che il sole sorgesse per regalarle un nuovo giorno da immortale.
«Buongiorno, amore mio», sussurrò Adam al suo orecchio dopo essersi mosso con estrema rapidità dal suo quadro al letto.
«Buongiorno». Un profondo sconforto la travolse quando la propria voce le arrivò alle orecchie melodiosa e limpida, spazzando via ogni fantasia.
«Che cosa vuoi fare oggi?», le chiese il compagno, baciandole la mandibola fino a raggiungere il collo chiaro.
«Non ne ho idea», sospirò.
Lo spostò da sé e balzò giù dal letto, andò in bagno e si guardò allo specchio: il viso pallido e bellissimo, gli occhi profondi e lucenti. Possibile che ancora non si riconoscesse, in tutta quella perfezione?
Si chiuse nel box-doccia ed assaporò la piacevole sensazione dell’acqua calda sulla pelle, sugli occhi chiusi e sulle labbra, che sfiorò con le dita.
Quando uscì si avvolse con un asciugamano rosa pallido e si pettinò i capelli dorati, poi raggiunse Adam, in terrazza, che guardava il cielo azzurro e la città di grattacieli splendenti che gli si presentava di fronte.
«Tutto bene?», gli chiese e lui si voltò, le strinse le braccia intorno alla vita e le sorrise.
«Sai quanto ti amo?».
«Sì, lo so», rispose lei automaticamente, giocherellando con un bottone della camicia bianca che indossava.
Si lasciò baciare delicatamente sulle labbra e poi rientrò nella suite, indossò una vecchia tuta blu, comodissima, e lo ritrovò ancora con lo sguardo fisso su New York.
«Io scendo di sotto a fare quattro passi».
«Va bene», le rispose.
Lei annuì e si allontanò, fino a chiudersi la porta alle spalle con un sospiro. Prese l’ascensore, da sola, e si appoggiò al metallo freddo con la schiena, il viso rivolto verso l’alto.
Aveva una maledetta voglia di piangere e ciò che più la infastidiva era che non le era possibile, come tante altre cose che appartenevano ad un’altra vita.
Avrebbe pagato oro per tornare a quell’epoca, per tornare umana; anche per morire, se le prime due non erano possibili. Era stufa, stufa marcia di quel proseguirsi di giorni senza mai fine. Accanto aveva Adam, il ragazzo più dolce e premuroso del mondo, l’unico a cui si era affidata, però… Stava con lui da più di una vita, ma… ma tutto ciò non le bastava più. O, meglio, voleva di meno del troppo che aveva.
Le porte dell’ascensore si aprirono ed abbassò lo sguardo sulla figura alta e slanciata che si era fermata di colpo, con il respiro mozzato alla sua vista.
«Bill», lo riconobbe e gli sorrise senza nemmeno rendersene conto. Lui non parlò, sembrava una statua di marmo con il cuore che stava per scoppiare.
«Ho detto bene?», gli chiese allora, per sincerarsi di non averlo scambiato con qualcun altro, anche se era certa di non aver sbagliato.
Aveva passato più o meno tutta la notte a rimuginare su di lui, sui suoi occhi, sulle sensazioni che aveva provato dentro quando i loro sguardi si erano incontrati. Un’intera notte e non era riuscita a capirci nulla.
Lui annuì, ripresosi, e con un solo passo entrò nell’ascensore, accanto alla bionda.
Doveva essere un sogno, un magnifico sogno ritrovarsela lì. Sapeva che erano nello stesso hotel, ma mai avrebbe immaginato che si sarebbero ritrovati. Ed ora eccola lì, accanto a lui, perfetta, nonostante l’orario e la tuta che indossava, e sorridente. Una visione.
L’ascensore riprese a scendere ed il silenzio che si creò fu parecchio imbarazzante, almeno per lui. Alisha aveva lo sguardo rivolto sul suo viso e Bill lo percepiva, tanto che si sentì andare a fuoco.
Lei sorrise. «Sei arrossito, sai?». Il ragazzo si volle schiaffeggiare da solo, ma si impose un po’ di contegno ed accennò una risata imbarazzata.
«Sei ancora più bello quando arrossisci», continuò la bionda, del tutto ignara di quanto lo stesse destabilizzando.
«Grazie, anche… anche tu», balbettò con la salivazione a zero.
«Magari», soffiò, gli occhi velati da un sottile strato che identificò come malinconia.
«Cosa? Guarda che tu sei veramente bellissima», le ripeté, quasi scandalizzato.
Lei ridacchiò un «Grazie».
Ormai il ghiaccio era rotto, Bill poteva provare ad iniziare una conversazione, anche se la sola idea lo metteva terribilmente in ansia.
«Ehm… come mai così mattiniera?», riuscì a chiederle.
Lei scrollò le spalle. «Mi sono svegliata presto stamattina. E tu? Non sembra che tu abbia dormito molto».
Quella volta fu Bill a ridacchiare, pensando che la causa delle sue evidenti occhiaie era proprio di fianco a lui. «In effetti no».
«Per quale motivo?».
Perché era così interessata se avesse dormito o no? Infondo… non era nulla di speciale, dormire!
«Non riuscivo a prendere sonno, continuavo a pensare».
«Oh, capisco», abbassò lo sguardo e in quell’istante le porte dell’ascensore si aprirono con un tintinnio ed uscirono, stando fianco a fianco.
«Ahm… so che ti sembrerò scortese, ma…», Bill si portò una mano sulla nuca, indeciso se continuare o meno. Alisha però lo guardava, incuriosita, e non poteva tirarsi indietro. «Facciamo colazione insieme? Sempre se… se ne hai voglia e se…» Il sorriso che gli rivolse gli fece ingoiare tutte le altre parole.
«Mi farebbe molto piacere, Bill».
Quando era sceso dal letto non si era nemmeno perso a fantasticare su un loro possibile incontro – nonostante lo desiderasse più di qualsiasi altra cosa – talmente lo credeva impossibile. Mai si sarebbe aspettato, oltre che d’incontrarla, di chiacchierarci amabilmente.
«Oh, quindi siete in America per il tour… capisco. E quanto starete qui a New York?».
«Ancora qualche giorno: abbiamo un concerto stasera e poi delle apparizioni televisive e altre cose che non mi ricordo», sbuffò annoiato e si portò la tazza di caffè alle labbra, nell’altra mano una brioches calda.
Lei non aveva preso nulla, dicendo che aveva già fatto colazione in camera.
«Non ne sembri entusiasta». Alisha ridacchiò della sua espressione buffa.
Aveva una risata così bella che era impossibile non restarne affascinati. Ma, d’altronde, c’era qualcosa di non affascinante in lei? La sua figura poteva benissimo essere utilizzata come sinonimo di fascino.
«No, per niente», sorrise mesto. «Quando si tratta di cantare per i fan non c’è problema, vivrei solo di questo, ma di parlare di fronte ai media… non ne ho mai voglia».
«Ti danno fastidio le domande private, scommetto», alzò il sopracciglio e portò le mani, fini e delicate, sotto il mento.
«Hai indovinato».
«Va bene, allora cercherò di reprimere ogni mia curiosità», sospirò delusa, un bagliore strano negli occhi. Bill fu quasi costretto a chiederle che cosa volesse sapere, ammaliato. «Mi chiedevo se tu fossi fidanzato, ecco».
«Ah. No, non sono fidanzato».
«Questa cosa mi sorprende molto», sgranò gli occhi, la mano sulla bocca socchiusa. Fingeva. Non l’avrebbe mai ammesso, ma aveva sperato che rispondesse così. «Sei un ragazzo così bello, come fai a non avere la ragazza?».
Lui sollevò le spalle. «È difficile, ora come ora. E non ho ancora incontrato il vero amore».
Alisha sorrise dolce e posò la mano fredda sulla sua, scuotendogliela un poco. «Lo troverai, ne sono certa», gli fece l’occhiolino e Bill sorrise, poco convinto.
«Ora tocca a me fare la domanda privata», esclamò lui e la bionda si posizionò meglio sulla sedia, divertita da quel gioco. «Quando vi siete conosciuti tu ed Adam?».
La ragazza si irrigidì e il suo viso assunse un’aria seria, quasi malinconica. I suoi pensieri volarono a quell’incontro e dovette chiudere gli occhi per scacciarli via dalla mente.
«Tanto tempo fa. Io ero solo… solo una bambina», rispose atona, alzandosi in piedi.
Nello stesso momento Bill scattò in piedi come se sulla sedia fossero spuntate magicamente delle puntine e le prese le mani, avvicinandosi fin troppo al suo viso. Sentiva il suo respiro freddo e profumato intrecciarsi al suo ed era strano, diverso dagli altri…
«Mi dispiace, io non volevo…», incominciò dispiaciuto, ma non riuscì a finire.
«Non hai nessuna colpa, Bill».
Come gli piaceva il suo nome pronunciato da quella voce…
«Sono… sono io, è colpa mia. Ora, scusami, devo andare». Liberò le proprie mani dalla sua stretta e fece qualche passo verso le grandi porte della sala da pranzo.
Si voltò e gli rivolse un sorriso appena accennato. «È stato bello chiacchierare con te, grazie».
«Di niente», riuscì solo a balbettare prima che lei si allontanasse e sparisse alla sua vista.
*
«Fammi capire bene», disse Tom con le dita sulle tempie: sembrava davvero molto concentrato. O forse aveva solo sonno, visto che lo aveva buttato giù dal letto ad un orario improponibile per torturarlo con le sue paranoie. «Tu hai incontrato quella smorfiosa in ascensore e –».
«Non è una smorfiosa», borbottò Bill.
Il gemello lo fulminò con un’occhiataccia: gli bruciava ancora il modo con cui l’aveva rifiutato la sera prima, alla festa.
«Le hai chiesto di fare colazione con te e siete finiti a chiacchierare amabilmente, fino a quando non le hai fatto una domanda su Adam e lei se n’è andata molto teatralmente. Ho afferrato?».
«Sì, e questo mi stupisce», ridacchiò all’espressione scocciata di Tom.
«Insomma, vuoi o no che ti aiuti a conquistarla? Perché è questo che mi stai chiedendo, no?», sollevò il sopracciglio, malizioso, mentre si portava le braccia al petto ed osservava Bill arrossire e boccheggiare come un pesce fuor d’acqua.
«Io… io non ho detto che voglio conquistarla!», annaspò.
Tom si lasciò andare ad una fragorosa risata. «Non l’hai detto, ma l’hai pensato. Non puoi nascondere niente a me».
«Okay», sospirò afflitto e si portò le mani sulla testa. «Sono disperato, Tomi. Sono completamente andato nel pallone già dalla prima volta in cui l’ho vista e non ti nascondo che quando hai ballato con lei volevo ucciderti».
«Sì, l’avevo come percepito», mormorò, senza interromperlo.
«Mi sento così… stupido, quando sto con lei! Sembra così grande, così matura… e troppo, troppo bella per me».
«Oh mio Dio, Bill, dove hai lasciato l’autostima oggi?!».
«Non si tratta di autostima, è la verità! Non potrò mai competere con Adam, ma lo hai guardato bene? Tutti ci farebbero su un pensierino!».
Tom quasi non si strozzò con il succo d’arancia che stava sorseggiando. «Io non ci ho fatto alcun pensierino!», ribatté, rosso.
«Comunque… no, non posso essermi così perdutamente innamorato di una ragazza che appena conosco e che sembra così un mistero… E così in fretta, poi! Mi è bastata, le è bastata una sera per ridurmi in questo stato!».
«Non è quello che tu chiameresti amore a prima vista?», gli domandò.
«Sì, ma… c’è anche che lei è fidanzata felicemente con Adam, quindi non io posso –».
«Che cavolo te ne frega di quello là?! Se ti piace sul serio devi lottare per averla! E poi hai visto come si è fatto da parte quando gli ho chiesto se potevo ballare con lei?». Un sorriso orgoglioso gli illuminò il viso e Bill scosse la testa, in pena per lui: se solo avesse saputo perché Adam si era fatto subito da parte! Lui era certo che Alisha lo avrebbe respinto, al cento e uno per cento. Che speranza aveva, se persino suo fratello Tom era stato rifiutato?
Beh, adesso… Non sono inferiore a Tom per quanto riguarda il fascino! Anzi… Sorrise dei suoi stessi pensieri e il gemello lo guardò con un filo di preoccupazione.
«A che cosa stai pensando?».
«Niente, Tomi», si riprese, ma in un attimo tutte le sue fantasie cessarono di esistere: Adam, elegante e sicuro di sé, era appena uscito dall’ascensore e li aveva visti.
Rimase un attimo a guardarlo, completamente rapito, chiedendosi come facessero ad essere tutt’e due così perfetti e svegli già a quell’ora di mattina.
«Aiuto», gracchiò il cantante, cercando nel fratello un segno di conforto, che rispose allo sguardo con un’occhiata da: “Ci penso io, tranquillo”.
«Buongiorno», salutò cortesemente Adam quando fu accanto al loro tavolo.
«Ciao Adam, amico, come te la passi?». Tom rispose solare al saluto e gli tirò un pugno amichevole sulla spalla, al quale Adam non diede la minima importanza: sembrava teso, tormentato. Da che cosa, lo capirono quando formulò una semplice e chiara domanda:
«Per caso avete visto Alisha?».
Tom guardò Bill, tanto che anche Adam si voltò verso di lui, incatenandolo con lo sguardo.
Menomale che dovevi aiutarmi!, pensò incendiando con gli occhi il gemello. Poi rivolse la sua attenzione ad Adam: «Ehm… sì, l’ho incontrata prima e si è fermata a farmi compagnia a colazione, poi… se n’è andata».
Adam socchiuse la bocca per la sorpresa, ma in un attimo la sua espressione tornò neutrale e cortese, anche se forzata. «Non sai dov’è andata?».
«No, mi dispiace».
«Okay, non importa. Grazie dell’aiuto». Non sforzò nemmeno un sorriso, girò i tacchi ed uscì dalla sala da pranzo a passo svelto.
«Bill», lo richiamò Tom, stupefatto.
«Uhm?», mugugnò senza riuscire a togliere lo sguardo dalle porte dalle quali era appena uscito il ragazzo.
«Ti rendi conto di quello che sei riuscito a fare?».
«No, cosa?».
«L’hai ingelosito!».
Si guardarono a bocca aperta per qualche secondo, poi Bill si lasciò andare ad una manifestazione di vittoria.
Che Adam non fosse così convinto che Alisha lo respingesse come aveva fatto con Tom? Si sentì infinitamente importante ed affascinante, il cuore gonfio di gioia, tanto da voler salire sul tavolo e ballare.
Ma, per ovvie ragioni, non lo fece. Edited by _Pulse_ - 17/11/2012, 15:53